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ZITTI E PENSATE A STUDIARE

 

 

 

 

 

 

 

 

Tanto rumore per nulla: adesso si inventano anche il referendum. E’ davvero incredibile come in Italia ad ogni minimo – quasi insignificante - cambiamento (perché di questo, come vedremo si tratta), si alzino le barricate, si scioperi e si faccia le cariche alla polizia. In che paese viviamo? Alzi la mano chi, fra tutti quelli che protestano, hanno letto la legge. Proviamo noi a leggerla anche per loro.

Potremmo, nella confusione odierna, chiamarla “riforma scolastica” ma l’attuale legge 133, che fu il decreto legge 112, non riguarda la scuola, bensì è una “finanziaria in pillole”.
Leggendo il testo dalla Gazzetta Ufficiale notiamo che prima di arrivare al “capito scuola” si affrontano molti altri aspetti, sempre da un punto di vista pecuniario, che interessano disparati campi della struttura nazionale. Si parla di sviluppo economico, di competitività, di internazionalizzazione delle imprese di infrastrutture, ovviamente, anche di energia. Solo al Capo V possiamo leggere: istruzione e ricerca.

Il primo articolo (Aticolo 15 in ordine di apparizione nel testo della legge) lo troviamo di assoluto buon senso. Trattasi dell’apertura a nuove forme di fruizione dei libri scolastici che ridurrebbero il costo annuale a carico delle famiglie per l’acquisto dei testi. Quest’ultimi infatti, potranno essere consultati e scaricati direttamente da internet in modo parzialmente o del tutto gratuito. E chi di noi non può tirare un sospiro di sollievo nel trattenere nel portafogli i duecento euro annuali destinati ai libri? Con i tempi che corrono!

Ma la ragione di tante proteste non è questa, ma arriva subito dopo nell’articolo 16: Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università. Testualmente citiamo la legge: In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione [ articolo che recita: L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. N.d.r.], nel rispetto delle leggi vigenti e dell'autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. Vale a dire che privati cittadini potranno entrare nel consiglio d’amministrazione dell’università e farne un ente sostanzialmente privato sottostante però, sempre secondo la legge, alle disposizioni vigenti per le Università statali. Ci saranno organi preposti al controllo e relazioni annuali sull’operato della Fondazone. Stando a questa ultima affermazione possiamo dire che tra le disposizioni in vigore attualmente per le Università ce n’è una che regola l’introito delle tasse e che impone che queste non superino il 20% del bilancio.

Quindi l’allarmismo sull’aumento delle tasse fino a livello della Bocconi e della Luiss, sembra essere privo di fondamento. Per quanto riguarda le critiche alla creazione in sè delle Fondazioni, credo che si debba fare chiarezza sulla situazione attuale dell’Università italiana. Oggi tutti gli atenei sono amministrati da docenti che hanno fatto il “salto di qualità” e sono passati da insegnanti, magari anche competenti, ad amministratori in erba del tutto ignari di come gestire un’azienda.
Da qui, oltre che dagli interessi personali, il problema del pareggio dei bilanci, sempre più irraggiungibile.

Oggi Università come quella di Siena e Firenze cercano di capire come pagare gli stipendi dei professori perché non ci sono più soldi. E in mancanza di soldi si fanno ulteriori tagli? Sì, se andiamo a vedere bene è l’unica soluzione possibile e forse è quella più salutare. Il problema non sono solo i finanziamenti come si continua a gridare nelle piazze, il problema è come si amministrano i soldi. Se con la legge 133 si apriranno le porte dell’amministrazione universitaria a persone competenti nel settore, e conseguentemente gli insegnanti tornassero a fare ciò per cui sono pagati (ossia insegnare), forse ci sarebbero più soldi per le ricerche, per la manutenzione dei laboratori e per tenere almeno vivo quel tiepido fervore che arde ancora nei pochi e sconsolati ricercatori italiani non ancora “in fuga”.

Forse l’Università potrebbe offrire un’istruzione di livello, che renda i propri studenti competitivi e competenti. Tuttavia, va fatta una precisazione; in questa visione delle cose deve rimanere fermo e chiaro il problema delle tasse. Queste, come si può dedurre dal decreto legge, devono rimanere sullo standard attuale, perché è giusto che chi ha capacità possa svilupparle al di là del reddito. Non parliamo di un’Università aperta a tutti, perché l’Università non è per tutti, ma parliamo di un’Università meritocratica e non livellante come quella odierna, dove tutti siamo allo stesso, basso, livello. Di una cosa siamo certi: non si può proseguire sulla strada intrapresa, che porterà solo al fallimento dell’Università intesa come società e come istituto di formazione del futuro. Qualcosa deve cambiare.

Beatrice Pelini