Apologia del Natale consumistico
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D.M.
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Quando c'erano le due o tre ore che a scuola la professoressa di italiano dedicava al tema, noi scolaretti tiravamo un sospiro di sollievo quando potevamo scegliere tra più di un titolo. Ma, ahimè, c'erano due periodi dell'anno in cui il tema era sempre obbligato: uno era 'racconta la tua estate' al rientro dalle vacanze, l'altro, agghiacciante, era la riflessione sul Natale.
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Dopo molti anni di disintossicazione dai pensierini, reduci da quell'incubo, possiamo iniziare a rielaborare la questione. Ringraziamo innanzitutto la maestra prima e la professoressa poi, per averci insegnato i valori, la bontà, e che le opere di bene per i bambini del terzo mondo al posto dei regali sono cosa buona e giusta, e le ringraziamo anche per averci fatto comprendere come le vetrine luccicanti non-sono-il-significato-del-Natale.
A tutte loro è dedicato il seguente 'temino', che se avessero letto qualche anno or sono avrebbero tacciato il bambino di possessione demoniaca.
Lo spunto me l'ha dato un celebre giornalista de "La Nazione", che in un corposo articolo di due pagine datato 18 Dicembre, raccontava la sua giornata al 'Designer Outlet' di Barberino del Mugello.
Il titolo era emblematico e sarebbe bastato soltanto quello per farmi riaffiorare i sopiti odi scolastici: 'E' Natale nel paese dei balocchi - Viaggio nell'outlet: le griffe luccicano e a prezzo di saldo, ma nel mondo perfetto si compra e non si sorride'.
Le righe in corsivo che anticipavano il contenuto del testo non lasciavano scampo: 'I templi del consumismo nei giorni dell'anno in cui raggiungono il massimo splendore: ormai la folla accorre più per dovere che per piacere'.
All'interno del pezzo una continua, trita e ritrita, invettiva contro il consumismo natalizio e le marche che arriva fino al delirante paragone con il Paese dei Balocchi di Collodi: 'ââ¬Â¦fu Lucignolo a condurre Pinocchio nel Paese della perdizione, ma un giorno i genitori smontavano a suon di scappellotti i bimbi sedotti dalla tentazione. (ââ¬Â¦) oggi i padri e le madri sembrano diventati i nuovi lucignoli.' Un sermone degno di un predicatore tv o di quelle 'bellissime' mail che ti mandano conoscenti e amici tutte uguali indirizzate a tutta la rubrica, intrise di stucchevole retorica.
Ma l'aulica metafora continua: ' (ââ¬Â¦) tutti i grilli parlanti sono oramai schiacciati dalle ruote dei loro 4x4 intercooler'. Vuoi vedere adesso che la tassa sui Suv era una cosa moralmente natalizia?
L'autore cita con sarcasmo la dichiarazione del Presidente della McArthur Glen (la società proprietaria della catena di questi grandi Outlet) 'Sarà il primo vero luogo di acquisto democratico'. Ma c'è poco da ironizzare: non solo questa frase è vera ma descrive un progresso in atto alimentato dalle stesse marche tanto denigrate e citate quasi come in un elenco della vergogna.
Gèrald Mazzalovo, nel suo illuminante libro 'Pro Logo' descrive la vera realtà: 5 punti che ribaltano le tesi buoniste e che riconoscono nelle marche veri e propri fattori di stimolo al progresso e alla felicità.
1) LE MARCHE, DOVUNQUE SONO PRESENTI NEL MONDO, CREANO RICCHEZZA. Ed è il loro contributo più immediato al progresso.
Gli avversari della mondializzazione 'citano sovente come esempio gli stipendi vigenti nelle fabbriche decentrate delle multinazionali' e quindi il presunto sfruttamento ai danni dei paesi poveri. Ma questa è una menzogna perchè 'nella gran parte dei casi, gli stipendi versati dalle grandi marche risultano superiori allo stipendio medio dei paesi presi in considerazione'.
La retorica diffusa del Natale, ripresa dall'articolo in questione, che continuiamo a prendere come rappresentante di tutte le belle e buone riflessioni, ha nella falsa felicità che deriverebbe dall'acquisto, una delle sue principali argomentazioni: 'Nel mondo perfetto si compra e non si sorride' pontifica il giornalista, 'gli unici a sorridere sono i bambini incalzati da qualche figurante pagato apposta per intrattenerli. Ma anche i loro sorrisi sembrano di plastica, una griffe falsa'.
Infine l'apoteosi: 'perchè l'abbondanza raramente porta la felicità'.
Il secondo punto di "Pro Logo" ci viene in aiuto puntuale per smontare anche quest'ennesima falsità partorita dal politically correct natalizio:
2) LE MARCHE FAVORISCONO LA CREATIVITA' E LA FELICITA' DELLE PERSONE. Le marchè creano nuovi bisogni? Puo darsi, ma soprattutto creano nuovi piaceri.
'Questo è trascurabile?', si domanda l'autore di "Pro Logo", 'Noi non lo pensiamo. Ci sembra che le marche siano fattori di progresso quando mettono le persone in condizione di generare esse stesse progresso: ora, le persone felici vi riescono meglio delle altre. Da questo punto di vista, un piccolo piacere, un piccolo acquisto in termini di comfort, rappresenta di per sè un progresso".
3) LE MARCHE PERFEZIONANO I MERCATI. Siamo noi a condurre il gioco in una condizione di larga offerta, e siamo sempre noi a decidere la sopravvivenza o meno di un prodotto, donandogli o meno il nostro personale gradimento. Nessuno ci impone l'acquisto, siamo noi a comandarlo. Ed è una conquista di libertà.
4) LE MARCHE PROMUOVONO IL MULTICULTURALISMO. 'E' frequente che la loro identità si rifaccia ai valori della regione o del paese dove esse sono cresciute'. E questo promuove l'incontro culturale tra popoli e la sensibilizzazione verso culture diverse. E, aumentando la conoscenza, aumenta il rispetto e la solidarietà. Ma le marche non solo si conoscono ma si 'sperimentano' e quindi le culture si incontrano e si comprendono. Tutto questo c'entra poco o niente con i paventati pericoli della globalizzazione: un McDonald o uno store di Gap in India, ad esempio, non rappresentano un'americanizzazione della società indiana per il semplice fatto che a fronte di un fast food ci sono migliaia di ristoranti indiani e a fronte di uno megastore ci sono migliaia di negozi e mercati di abbigliamento che rendono irrilevante la presenza delle catene straniere, se non, appunto, come incontro e confronto culturale.
5) LE MARCHE GENERANO PROGRESSO E CONTRIBUISCONO ALLA NOSTRA FIDUCIA E AI NOSTRI VALORI MORALI. Le marche ispirano negli uomini e nelle donne le qualità che condizionano il progresso: fiducia nelle proprie capacità, curiosità, invenzione, senso dell'azione e del rischio, desiderio di conquista, gusto per l'impegno, sensibilità estetica, solidarietà e rispetto delle differenze.
Il nostro temino sul natale si conclude proprio su questo punto decisivo per tirare il colpo di grazia ai pensierini buoni e santi:
'Crediamo che se un individuo, uomo o donna, si sente bene con se stesso, seducente e sicuro di lui, se ha sviluppato un certo senso del bello, una sensibilità multiculturale, allora si puo considerare che abbia raggiunto la sommità della piramide dei bisogni di Maslow. Esistono ottime probabilità che un tale individuo, avendo soddisfatto i suoi bisogni più immediati, trovi il piacere e la pace necessaria all'altruismo, che egli si responsabilizzi sui problemi del suo ambiente, che si sforzi di migliorare il suo mondo, che promuova valori umanistici di solidarietà e rispetto dell'altro'.
Le marche e il consumismo sono bersagli comodi da colpire, ma quello capitalistico occidentale è un sistema che non ha alternative.
Le marche, lo shopping, non rappresentano solo il commercio in senso lato ma una rivendicazione sociale e una vera e propria conquista di piacere e di felicità che aiuta ciascuno di noi a ritrovare quei valori che, la peggiore tradizione buonista, definisce 'perduti' o rovinati dal nemico numero uno: il consumismo, le marche e la commercializzazione del Natale. Peccato che questi ultimi elementi, tanto messi alla gogna, rimangano tra i pochi a produrre reale felicità e autentico progresso valoriale proprio nella direzione tanto decantata dalla retorica natalizia. Molto più di tanti stucchevoli sermoni, che ogni anno ci vengono propinati da più parti, puntali come l'influenza.
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