La fiamma e la squadra: le origini del gotico internazionale
Un'arte odiata dal Novecento perchè portatrice di istanze culturali nemiche degli assiomi su cui il secolo scorso ha costruito la sua cultura dominante. L'individualismo, la libertà creativa del singoli, sono odiose ad una cultura che punta al dominio della Massa sul Singolo. L'aristocrazia della forma è nemica di chi vuol omologare il mondo verso il basso. Il primato del sogno cortese crea ribrezzo in chi si illude che la realtà non sia nulla più di un rigido teorema.
Quest'odio, figlio del disprezzo per il Bello e per il Nobile, oltre a svalutare l'importanza culturale ed estetica del Gotico internazionale, ne ha perfino declassato le origini, trasformandole in un sottoprodotto dell'Arte Senese. Si consideri la cappella di San Martino, ad Assisi, dipinta dal grande Simone Martini.
Figura 1: Investitura di San Martino.
La fisiognomica, l'intelaiatura architettonica realistica, gioco illusionistico di luci ed ombre con attenzione alle vere fonti di luce sono sì ispirate dalla Scuola Romana, ma lo spirito è differente. Per il fiorentino questi sono strumenti per rendere attuale e concreto l'evento sacro, mentre per il senese è il sacro l'occasione per illustrare una gran festa profana, il sogno cavalleresco dei ricchi e dei nobili. Questo si trova scritto in qualsiasi libro di Storia dell'Arte. Ma è veramente così? Possibile che Giotto, sempre interessato a cio che succedava nel mondo circostante, da vero esploratore dello Spirito, non abbia dato un minimo contributo alla fucina di tale movimento artistico?
Come diceva Amleto ad Orazio: "vi son più cose in cielo ed in terra di quanto ne sogni la tua filosofia". Nelle righe seguenti si cercherà di sottolinerare i contributi dati da Firenze, nella figura di Giotto e di Buffalmacco, alla genesi del Gotico Internazionale. Ruolo importante, che spesso pero viene dimenticato.
Torniamo ad Assisi, il laboratatorio dell'Arte Italiana. Poco prima che Simone Martini cominciasse a lavorare alla capppella di San Martino, Giotto decorava la Cappella della Maddalena, cappella i cui affreschi han sempre destato polemiche.
Molti, schiavi dell'idea di un Giotto nonno del Rinascimento ed incapace di rimettersi sempre in discussione li ha voluti attribuire a suoi allievi. Invece il maestro fiorentino, come mostrato in altri articoli, era simile al nostro, sempre pronto ad aggionare il suo stile in funzione delle esigenze della committenza e degli stimoli che traeva dalla cultura circostante. Nel caso specifico della Cappella della Maddalene, la scultura di Giovanni Pisano e le miniature francesi.
Figura 2: Sbarco a Marsiglia
Le figure degli affreschi, rispetto alla Cappella degli Scrovegni, sono meno monumentali, ma acquisiscono in dolcezza e vita. Non statue di colore, eroici modelli di Fede e Virtù, ma uomini e donne di ogni giorno con le loro preoccupazioni e tremori. Non le architetture, gabbie geometriche in cui imprigionare lo sguardo, ma paesaggi distesi e desolati, richiamo dell'Infinito, in cui l'Uomo si perde e di quel Deserto che è la vita di ogni giorno. Non visioni frontali, costruzioni teoretiche e razionali, figlie della Scolastica, ma lo prospettiva a volo d'uccello, l'anima del mistico che si perde nel mondo, riflesso di Dio. E soprattutto i colori: la chiarezza e la trasparenza di luci dai riflessi lunari e dai raffinati accordi timbrici. Ogni cosa verrà ereditata dal Gotico internazionale e senza questi affreschi non sarebbe stata possibile.
Oppure si considerino i tanto sottovalutati polittici della vecchiaia: quello di Bologna, ad esempio, quanto rimane del sogno di Bertrando del Poggetto di renderla l'Avignone italiana.
Anche di quest'opera si è voluto contestare la mano del maestro.
Figura 3: Polittico di Bologna
Un'architettura sontuosa, degna del raffinato esponente della corte avignonese. La Vergine, seduta su un nobile trono gotico, ha il garbo elegante di una nobile, abituata ad osservare il mondo da portici e torri. Ai lati l'arcangelo Michele e l'arcangelo Gabriele, che sfonda lo spazio nella sua lotta con il drago San Pietro, con chiavi in mano e ferula, un'asta che termina con una Croce, antico simbolo del potere del Papa quando prendeva possesso del Laterano. Intanto San Paolo si appoggia elegantemente ad una spada dal fodero bianco, come un cavaliere dinanzi alla dama.
E poi gli splendidi rossi ed il blu del manto della Madonna, dagli infiniti toni. E soprattutto, le cromie cangianti della predella che, come il ricco uso delle decorazioni punzonature sul fondo oro, mostrano un Giotto sempre pronto ad accogliere le novità che provenivano da Siena.
Oppure il tanto, ed a torto disprezzato, "Polittico Baroncelli", danza di luci e di colori. Un coro celeste, così francesizzante, con quei visi piccoli e quegli occhi allungati, dalle infinite espressioni, che canta le lodi dell'Altissimo e di sua madre.
Figure 1: Polittico Baroncelli
Certo, mi si potrebbe ribadire, Giotto puo aver fornito la tecnica, ma la nascita del nuovo Spirito, l'idea di una pittura laica è senese, figlia del Guidoriccio da Fogliano, per quanto l'affresco sia stato modificato dai rifacimenti quattrocenteschi che ne han alterato la leggibilità. Ad esempio, della gualdrappa e della giornea del cavallo, oltre alle vesti del condottiero, erano ricoperte da una sottile lamina di piombo argentato, mentre le losanghe, oggi nere, erano probabilmente auree. Ecco la "Presa di Arcidosso".
Figure 2: Presa di Arcidosso
In realtà, cio è contestabile. Giotto dipinse, ben prima di Simone Martini, pitture laiche, che il Tempo e la stupidità umana non hanno risparmiato. Lorenzo Ghiberti ci parla di un ciclo sugli uomini illustri, realizzato a Padova in contemporanea alla decorazione della cappella degli Scrovegni.
A Napoli, dal 1332 al luglio 1333, nella sala maggiore di Castel Nuovo, dipinse un ciclo di affreschi in cui erano rappresentati gli eroi dell'antichità classica e biblica (Sansone, Salomone, Ercole, Achille, Ettore, Paride, Enea, Alessandro e Giulio Cesare), insieme alle loro "compagne", forse alla scopo propagandistico di legittimare la successione del ramo femminile degli Angio.
Più documentato, il ciclo di analogo soggetto a Milano, nel palazzo Visconteo, situato nei pressi del Duomo ed addossato alla cappella ducale di San Gottardo, tuttora esistente. Un cronista dell'epoca, il frate domenicano Galvano Fiamma, così lo descrive in latino: "ââ¬Â¦est una magna salla gloriosa nimis, ubi est depicta vanagloria subi [ââ¬Â¦] ubi depicti sunt illustres principes mundi gentiles, ut Eneas, Atylla, Hector, Hercules et alij plures. Inter quos est unus solus christianus, scilicet Karolus Magnus et Azo Vicecomes. Suntque hec figure ex auro azurro et smaltis distincte in tanta pulchritudine et tam subtili artificio, sicut in toto orbe terrarum non contingeret reperiri". L'esaltazione della gloria mondana e del potere.
Infine, i poco conosciuti affreschi per Cangrande della Scala, con rappresentanti il ciclo dei mesi. Si notino le tematiche: saranno presenti, negli arazzi e negli affreschi di tutte le corti d'Europa, soltanto nel secolo successivo. E attenzione soprattutto i luoghi: Milano, Napoli, Verona. Le officine del Gotico Internazionale in Italia.
Ma se Giotto è il papà del lato luminoso del Gotico Internazionale, di quel sogno di una vita migliore e della ricostruzione cavalleresca nel mondo, Buffalmacco, di cui lentamente si sta ricostruendo il catalogo, ne è il padre del lato oscuro.
Figure 3: Buffalmacco Tre vivi e tre morti
Non puo esserci ricostruzione, senza che prima tutto sia distrutto. Il sogno non è che fuga da una realtà tragica che alla fine, nonostante feste e giostre, tornerà a trionfare. I bei vestiti coprono un corpo che decade. E il Gotico Internazionale diventa anche consapevolezza della tragedia del vivere, della morte sempre incombente che assedia le opere dell'Uomo. Potrà trionfare, ma questo non ci esime da lottare strenuamente contro di essa, inseguendo il Bello ed il Buono.
Alessio Brugnoli
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