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Noi, eroi di oggi: un po' cowboy, un po' cavalieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli uomini d'oggi non avversano il potere dell'uomo sull'uomo (lo Stato), né lo considerano illegittimo, ma si limitano a detestare, di volta in volta, quanti sono al governo, per poi sognare l'avvento di "uomini nuovi" e "migliori": lo dice il Prof. Lottieri, in un suo recente intervento sulla nostra rivista. Anche Piero Ostellino, ne "Lo Stato Canaglia", riprende molto bene questo concetto.
Condivido il problema che è tipico del mondo in cui viviamo e, permettimi, è il problema stesso della modernità. Credo sia sempre più opportuno scindere ego individuale e periodo moderno. La prima è una connotazione cronologica la seconda ideologica. La due cose possono sovrapporsi ma è una sovrapposizione indebita. Dominante di questi tempi nella società occidentale è l'atteggiamento della modernità in cui l'uomo critica il sistema senza tuttavia avere la minima intenzione di cambiarlo o proporre un'alternativa. L'uomo è dunque suddito, ma non come nel medioevo, adesso è tragicamente uno strumento in mano dello Stato e nello Stato stesso trova forme di adattamento, si scava delle nicchie, ci si accoccola dentro e da lì critica gli uomini che quel sistema alimentano e sostengono.
Ma il ritorno dello Stato significa anche una de-responsabilizzazione dell'individuo: quando c'è qualcun'altro che dice di provvedere per te non avverti più la necessità di badare pienamente a te stesso. In Occidente, e specialmente in Europa, abbiamo perso il concetto fondamentale che le soluzioni valide di fronte ad un problema si affrontano innanzitutto rimboccando le proprie, di maniche."Live on less" è invece la soluzione delle istituzioni, che si traduce nel solito ritornello: meno libertà, che significa inevitabilmente fare del male ai propri cittadini diventati ormai sudditi.

Le politiche di interventismo centrale sono di gran moda, quali sono le ragioni di questo ritorno pesante allo Stato?
Il mercato prende forma a seconda di chi la anima e di chi lo abita. Sicuramente i rimedi che oggi si stanno tentando per porre termine a questa crisi - ossia un ritorno dell'interventismo statale nell'economia - sono peggio della malattia, in virtù del fatto che è la diagnosi ad essere sbagliata: la crisi non è il frutto di un fallimento del mercato, ma rappresenta il fallimento del modo in cui il mercato stesso è stato gestito dalla politica.
E' indubbiamente vero che nel nostro tempo lo Stato è tornato prepotentemente ad invadere la sfera economica e privata. E' una tendenza che si è sviluppata soprattutto dopo il conflitto mondiale, negli ultimi 60 anni. Mi dici che lo Stato oggi è tornato? Ma negli ultimi decenni quando mai era morto?
Oggi, è vero, si presenta in maniera prepotente ma questa invadenza altro non è che l'eredità che i totalitarismi hanno lasciato alle democrazie: queste ultime di fatto sono la riproduzione attuale di quei regimi, soltanto in maniera più “soft” e politicamente corretta.


Come si può fare a comunicare e ad insegnare agli italiani il liberalismo? Siamo condannati a restare per sempre un popolo di sudditi?
Non è una domanda facile. Non è semplice educare alla libertà, ma non perché i concetti siano difficili, ma perché questa “rieducazione” non può prescindere che da una completa riscoperta della centralità della persona umana.
Viviamo in un tempo dove i parametri della modernità sono in crisi, dove si confondono le cause con gli effetti, ma dove tuttavia  la società e il governo esistono ancora in funzione dello Stato e non viceversa. Probabilmente dovranno passare ancora molte generazioni per fare maturare negli italiani una tensione verso il liberalismo.

Capitolo ONU. Ti sei espresso spesso duramente contro quest'organismo transnazionale che – a tuo parere – trae ispirazione da formulazioni kantiane da abbandonare. Ci puoi chiarire questo passaggio?
L'ONU è una struttura che non funziona perché è sbagliata la premessa teoretica su cui è stata pensata e fondata. L'ONU tenta di dare vita ad una sorta di buonismo globale per poi imporlo a tavolino come ricetta contro tutte le miserie e le dittature. Peccato che proprio gli ultimi dinosauri del totalitarismo siedano nei seggi al Palazzo di Vetro insieme alle democrazie, paralizzando di fatto il processo decisionale, oltreché il buonsenso. Mi chiedo: ma come si fa a parlare di diritti umani con al tavolo stati come la Siria o la Cina?
C'erano dei teorici dietro la costituzione delle Nazioni Unite, teorici le cui dottrine sono figlie di una matrice illuminista che ha visto in Kant, e nel suo trattatello "La pace perpetua", il riferimento oggettivo e voluto verso un'ipotetica età dell'oro in cui tutti gli uomini avrebbero dovuto convivere pacificamente tra loro. Peccato che nessuno si sia mai domandato cosa fosse veramente la pace, e soprattutto cosa fosse l'uomo. La pace l'Onu non l'ha mai definita di preciso, se non sostituendole un vago concetto dello "stare insieme", ma non si capisce poi bene perché e a che pro!
Quella di Kant è una morale che non ha fondamenti metafisici ed è incapace di resistere alle intemperie. E' un contenuto vuoto che ha creato un castello di sabbia (l'ONU) che ha fallito su tutta la linea.
Spesso si sente dire che le intenzioni del marxismo erano giuste ma la realizzazione politica è stata sbagliata. Così si dice anche dell'ONU. Non è così: in entrambi i casi erano anche le premesse stesse ad essere sbagliate: l'intuizione di fondo, quella di imporre uno schema in virtù del quale tutti ci si vuole bene (o siamo uguali) per statuto, privandoci delle rispettive identità, non solo non è giusta ma è inevitabilmente destinata a fallire. Tutte le società che hanno teso i propri sforzi verso l'armonia non sono mai partite dall'azzerare le difficoltà per legge ma le hanno affrontate. L'ideale dell'ONU è invece quello di poter prescindere dalle difficoltà concrete, ma senza gli strumenti pratici e teorici per potersi permettere tutto ciò.

Hai scritto pagine su Tolkien, sui valori su cui è costruito il Signore degli Anelli, e pagine storiche sullo sterminio della Vandea. Pensi che ancora oggi ci venga chiesta una carica di eroismo? Cosa significa – senza retorica – essere eroi oggi?
Si può essere eroi anche nei nostri tempi, in qualunque ambito e in ogni momento. Se una persona esce al mattino per andare al lavoro si può rendere conto dei draghi che ci sono attorno a lui, allora potrà iniziare a lottare, senza per forza andare a giro con lo spadone ovviamente, ma con l'intelligenza dell'azione. La prima virtù dell'eroe è la prudenza: bisogna capire il tempo, il modo e il luogo dell'azione e poi trovare una fonte ideale (non idealistica come diceva Hegel) da cui trarre ispirazione.
Spesso si sente dire che c'è “crisi di valori”, ma a me non piace la parola “valore” perché i valori sono quelle cose che si possono scambiare, negoziare, vendere come oggetti. Ai valori preferisco i "principi", in quanto un principio sta all'inizio del tutto, e dietro ad esso non c'è nient'altro.
La libertà è un principio? Certo che lo è, ed un principio fondamentale. Lord Acton diceva: “La libertà è il fine politico”. In politica la libertà dovrebbe essere sempre il fine, ma se la polis di per sé è contro la libertà il sistema prima o poi è destinato a crollare.
Oggi abbiamo smarrito il concetto di libertà perché abbiamo smarrito il concetto di persona, che proviene da Dio. Dio è libero nel momento della creazione e la libertà è il maggior carattere che ci fa somigliare a Lui. L'altra caratteristica che è propria dell'uomo è la capacità creativa, un'altra somiglianza straordinaria con l'essere creativo per eccellenza.
L'essere umano non può quindi essere controllato con cose spacciate per libertà che sono semplicemente messe lì per confonderla, come l'aborto, la negazione stessa del principio di libertà.
Quindi sì, essere eroi oggi è possibile, quando la tua presenza nel mondo è forte e tangibile, quando – citando la Bibbia -  "Su tutto regna la carità". Si è eroi quando diventiamo protagonisti della nostra vita e non le permettiamo di scorrerci addosso.

Sempre più spesso si sostiene la curiosa equivalenza tra etica e cristianesimo.
Credo che ci siano molti più kantiani che tomisti nel mondo cattolico. Molte persone che si dicono cristiane si abbeverano - in buona fede – da qualche altra fonte. La riduzione del cristianesimo, prima ad una delle possibili religioni fra le tante tra cui scegliere, poi ad una filosofia spicciola - e quindi ad un'etica - è all'origine della confusione.
Un'etica può essere sempre fruibile ed addomesticabile secondo le necessità e le circostanze. La morale è una cosa diversa, ma se non c'è una ragione forte per dare seguito ad una morale vera perché farlo? Così la gente e la politica sempre più spesso purtroppo prediligono un'etica che si confonde di volta in volta con l'attualità e le tendenze moralizzatrici del momento. Mi ha sempre scandalizzato, ad esempio, chi dice, all'interno della Chiesa, di aggiornare i dieci comandamenti inserendo il concetto di equo e solidale piuttosto che altre assurdità di questo genere.

Libertari e cattolici: è possibile?

La tradizione libertarian è perfettamente conciliabile con quella cristiana, anzi, è un incontro che avviene in modo molto naturale, per svariate ragioni: la principale è perché la gran parte delle idee libertarie proviene da un'idea antropologica dell'uomo che non è diversa da quella cristiana in quanto da essa deriva. La società libertaria pone al suo centro l'essere umano, ma se ci pensiamo bene è lo stesso concetto del cristianesimo che, a sua volta, pone l'uomo al centro di tutto.
Altro punto è che l'idea libertarian deriva dal cristianesimo stesso, da quegli ideali che non hanno avuto la contaminazione della rivoluzione francese, dell'illuminismo e del comunismo e che quindi, negli Stati Uniti, si sono potuti sviluppare meravigliosamente.
Come il cristianesimo inoltre, il libertarismo si rifà a periodi storici in cui lo Stato non c'era o certamente non esisteva nella forme che conosciamo oggi. Stiamo parlando, ad esempio, dello Stato romano e di quello medioevale. In questo incontro, e in questa maturazione, il ruolo della seconda scolastica e del medioevo è determinante.
Entrambe le dottrine minano l'idea di Stato, ma non quella di governo. Un governo è un regola, è un modo di coesione sociale, il governo c'è sempre stato, anche Adamo – paradossalmente – si autogovernava. Poi però è arrivato lo Stato, che è tutt'altra cosa e che a sua volta ha assorbito il governo, con i disastri che sono oggi sotto gli occhi di tutti.
Questo non significa che non debbano esserci regole: citando Aristotele "dietro la natura umana c'è un mondo di regole": l'importante è capire che la ricetta liberale e libertaria è il modo di regolare l'economia più vicina all'essenza stessa dell'essere umano.

 

Responsabilità individuale e autonomia personale, concetti che sembrano dividerci dagli Stati Uniti ancora più dell'Oceano. Lo spirito del 1776 è ancora vivo nei cuori degli americani?
Le differenze tra Stati Uniti ed Europa sono talmente tante e grandi da essere praticamente insormontabili: pensiamo soltanto al divario a livello religioso e demografico che ci separa. Ma anche alle ragioni sentimentali e critiche per le quali si scelgono i rispettivi rappresentanti di governo. Ad esempio, in California Obama ha spopolato alle presidenziali ma poi, lo stesso Stato, si è espresso contro i matrimoni gay. Gli USA sono il paese in cui può succedere tutto e il contrario di tutto.
In America ci sono i “Tea Party”, presidi contro le tasse e l'invadenza dello stato nell'economia, da noi queste manifestazioni non rappresentano neppure una notizia. Perché mi chiedi? Perché semplicemente sono fatti che nella nostra cultura non sarebbero compresi. Sarei curioso di chiedere cos'è un “Tea Party” ad un giornalista italiano, anche di un importante quotidiano nazionale, probabilmente non solo non saprebbe dirci di cosa stiamo parlando ma è altrettanto probabile che non abbia nemmeno ancora ben chiaro perché gli americani sono diventati indipendenti dagli inglesi!
La verità è che Sì, negli Stati Uniti lo spirito del 1776 sopravvive ancora nell'anima della gente: nonostante siano passati secoli e soprattutto sia passato il Novecento, un secolo difficilissimo, dove l'idea dello Stato ha avuto il suo massimo momento di gloria con i totalitarismi e con la circolazione delle idee keynesiane. Murrey Rothbard in “Conceived in Liberty” aprì un'analisi molto approfondita sulla Rivoluzione Americana e sul mondo coloniale. In America, a differenza che da noi, esiste l'idea che l'insorgenza a volte può essere necessaria – come estrema ratio - in nome della difesa di qualcosa di più alto. L'Inghilterra era stata avvertita dai coloni che avrebbe fatto male a loro e a sé stessa continuando a privare i territori d'oltreoceano
della libertà, e alla fine c'è stata la rivolta, ma in nome di qualcosa di molto concreto e legato profondamente alla tradizione.

Il cowboy come mito di libertà e di colui che sa badare a sè stesso. In Europa possiamo trovare un parallelo?
Lo spirito del cowboy e della frontiera è ancora vivo nei cuori della gente, è lo spirito di colui che si trova a doversela cavare in una terra difficile, lo spirito di colui che se non ce la farà con le proprie forze nessuno sarà lì a provvedere al posto suo. Il nostro Medioevo non è poi molto diverso dallo spirito della frontiera. La conquista del West è simile alla nascita dell'Europa: l'uomo che guarda la realtà e si rende conto delle difficoltà che lo circondano e decide di cavarsela da solo non delegando nessun altro al suo posto. Cosa significava essere uomini liberi nell'età della frontiera? Voleva dire molto semplicemente  rimboccarsi le maniche e darsi da fare quando si aveva di fronte a sé una terra arida da coltivare, una terra sommersa d'acqua da bonificare o delle mandrie da portare al pascolo. Sono le “liberties” individuali e concrete, un concetto filosofico che i coloni avevano imparato dalla Bibbia, contro la “libertè” astratta della rivoluzione francesce. Dalle libertà individuali è dipesa poi la libertà politica e l'ordinamento politico americano.
Il cowboy non si lascia governare come suddito, in Europa oggi invece lo permettiamo. Ma per farti comandare o ti fai violentare o accetti: nel Vecchio Continente accettiamo passivamente.

Dovremmo dunque auspicare un ritorno allo “spirito” del Medioevo e della nascita dell'Europa?
Una delle principali accuse di oggi che si può fare a qualcuno è di essere medievale, che è diventato sinonimo di vecchio e polveroso. Le lancette dell'orologio non si possono mai portare indietro, tuttavia si può mirare a riconquistare quei principi che nel Medioevo erano messi a tema in maniera seria. L'uomo allora prendeva sul serio la rivelazione divina. Basterebbe quindi recuperare il senso  struggente dell'uomo e si ricostruirebbe in fretta il “sentire medioevale".

Giovani e futuro: la nostra redazione è composta da ragazzi, per lo più coetanei. Spesso sentiamo la nostra generazione lamentarsi di una mancanza di certezze nel futuro, complice una crisi che non è certamente solo economica. Forse è una debolezza della nostra generazione quella di cullarci nella nostalgia di tempi migliori che ci hanno solo raccontato e nel pessimismo riguardo all'avvenire? Come da usanza delle nostre interviste, vorremmo chiudere la nostra chiacchierata con un messaggio di ottimismo.
Ragazzi, noi non conosciamo nient'altro che l'oggi e il passato, per questo abbiamo sempre una certa nostalgia delle cose trascorse. Patrick Henry, uno dei protagonisti della rivoluzione americana, diceva: "Non ho altra luce per vedere il futuro se non quella del passato".
Ma questo – badate bene – non è male: possiamo rifarci ad un precedente che è accaduto perché dobbiamo convincerci che se è accaduto una volta allora vuol dire che può accadere ancora.
Le lancette dell'orologio non si possono riportare indietro, nessuno lo può fare. Tuttavia, imparando dal passato, possiamo ricostruire le condizioni originarie per cui certe cose sono avvenute e spiccare di nuovo quel salto con rinnovato entusiasmo. Questo in politica come nella vita, perché non esiste riforma politica che non parta prima da una “riforma” personale. Il Dio dell'ideologia è fallito miseramente lasciando dietro di sé un sacco di delusi, ma anche un vuoto da occupare, e la vostra generazione può riempirlo, ha delle praterie davanti a sé.
Insomma, per concludere, dovete sempre chiedervi: è successo una volta? Allora significa che può succedere ancora. E' questa l'idea che vi deve guidare.
Non vi fidate di chi dice “si stava meglio quando si stava peggio”: non è vero! Per molti in passato è la vita è stata molto più dura che per noi. Dalla storia dobbiamo solo imparare e prendere e esempio, non struggersi nella nostalgia di un tempo perduto. La storia è l'unica cosa che ci è data da conoscere ma è abbastanza per imparare a costruire un futuro. Se osserviamo cose accadute, e impariamo a modificare le premesse negli accadimenti della nostra vita, tutto può cambiare, anche dopo una cocente delusione. E' un principio valido per me, per chi mi sta accanto, per i miei figli.
Vi faccio un esempio, proviamo a cambiare le premesse su una questione ideologica, ad esempio mettiamo – come io credo – che  l'uomo non derivi dalla scimmia. Cosa implica questo? E' una constatazione del passato ma che cambia le premesse dell'oggi, perché significa allora che io sono più simile a Teodorico dei Goti di quanto possano raccontarmi.
Torniamo quindi al concetto di eroe: l'eroe dà tutto sé stesso sempre, non si risparmia mai. Penso a Marco d'Aviano e ai vandeani, si può essere come loro? Ma certo, ma senza bisogno di indossare mantelli e brandire spade: non conta la forma ma mantenere quello spirito nella vita di ogni giorno. Ci vuole ottimismo ragazzi, perché essere ottimisti significa lottare sempre per costruire un'età più bella di quella che ci è stata consegnata.

D.M.