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ISRAELE COMBATTE PER TUTTO L'OCCIDENTE

 

 

 

 

 

La vicenda dei palestinesi che vivono a Gaza e dintorni sembra dunque meritare l’attenzione maggiore che la politica internazionale (specialmente europea) è in grado di dare. Il presidente francese Sarkozy, allontanandosi dalla sua amata patria, si è addirittura attivato in prima persona in un lavoro diplomatico estenuante finalizzato all’interruzione delle operazioni militari israeliane. Ma possibile che questi cosiddetti uomini di stato, non vedano la reale situazione dell’Area?

Di fronte ai nostri occhi dovremmo avere sempre l’immagine del popolo israeliano incapace di vivere dignitosamente la propria esistenza all’interno dei propri confini nazionali legittimamente costruiti. Non dobbiamo accettare che la questione umanitaria permetta di confondere la realtà, non possiamo accettare lo scambio tra le cause e gli effetti. La realtà è troppo luminosa per essere oscurata. Gli unici responsabili della crisi umanitaria di Gaza sono coloro che hanno taciuto di fronte all’ascesa di Hamas e coloro che con Hamas vogliono instaurare un dialogo.

L’idea della questione umanitaria della popolazione civile di Gaza è ragionevolmente condivisibile da ogni uomo di buona volontà. Vorrei tuttavia spostare per un istante il nostro pensiero sulla questione politica che abbiamo di fronte. A nostro avviso l’attività dell’esercito israeliano in operazioni di stabilizzazione e normalizzazione dei propri confini nazionali ha come unica causa l’impossibilità per lo Stato israeliano di essere riconosciuto come un legittimo partecipante alla vita politica dell’area. Nessun altro motivo ha mai spinto l’esercito israeliano a varcare i propri confini nazionali.

 

La storia ci ha mostrato come immediatamente dopo la proclamazione dello Stato sovrano nel 1948 gli Stati arabi confinanti hanno mosso guerra al paese con la stella di David. L’occupazione dei territori palestinesi è stata una conseguenza della guerra in cui Israele è stato coinvolto suo malgrado. Al contrario, il ritiro dell’occupazione di questi territori è stato deciso con un atto unilaterale del governo israeliano e non con una legittima trattativa con i rappresentanti politici palestinesi.

L’impossibilità di condurre dei negoziati politici che abbiano un ascolto (e un riscontro) effettivo nelle città e nelle strade palestinesi è l’unica e vera causa che porta l’esercito israeliano ad intervenire periodicamente fuori dai propri confini nazionali.
L’ipotesi di uno Stato palestinese sovrano vedrebbe Israele accompagnato da un interlocutore politico vero ed affidabile. In quel caso, un eventuale intervento militare di normalizzazione dei confini nazionali, sarebbe anticipato dall’azione polizia dello stesso Stato palestinese all’interno dei propri confini. Questo semplice meccanismo permette a due Stati sovrani confinanti di convivere rispettosamente.

Da un ragionamento di questo tipo vengono spazzate via rapidamente le argomentazioni per cui Israele abbia agito e stia agendo con l’obiettivo di aggredire a morte i palestinesi. La convivenza tra Stati che si riconoscono e si rispettano tra di loro è sempre stato e rimane l’unico obiettivo del popolo israeliano. Un paese democratico non può in alcuna circostanza perseguire un fine politico diverso. L’alternanza elettorale infatti lo impedirebbe. Soltanto i regimi totalitari del secolo scorso avevano questo tipo di intento.

Gli unici responsabili di questa crisi nell’area sono coloro che non accettano l’incapacità del popolo palestinese ad autodeterminarsi come popolazione. La soluzione politica all’instabilità dell’area passa quindi dalla necessità di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Qualsiasi organizzazione civile o militare che non affermi apertamente e liberamente questo diritto non può avere l’arroganza e la stupidità di rappresentare una popolazione che ambisce a diventare un popolo.

Simone Scarlini