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ANNI ILLIBERALI/3 - IL PROBLEMA NON E' L'UOMO MA IL SISTEMA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Può apparire paradossale che da un lato vi sia una forte e diffusa ostilità verso il ceto politico (la Casta descritta da Rizzo e Stella), mentre al tempo stesso avanza “dal basso” una crescente richiesta di interventi e regole, che in fin dei conti finisce per produrre un’espansione del potere pubblico. È come se, al tempo stesso, la gente detestasse gli uomini di governo, ma poi fosse pronta a consegnare loro un sempre più vasto controllo dell’economia.

Questo massiccio “ritorno a Keynes” e alle logiche stataliste è però paradossale solo in apparenza. È infatti evidente che il disprezzo verso la Casta non proviene da un’autentica consapevolezza di quelli che sono i diritti dei singoli. In fondo la maggior parte degli uomini d’oggi non avversa il potere dell’uomo sull’uomo (lo Stato), né lo considera illegittimo, ma si limita a detestare – di volta in volta – quanti sono al governo, per poi sognare l’avvento di “uomini nuovi” e migliori. Questo è forse il punto cruciale.

Bisognerebbe far comprendere che se la nostra società è tanto ingiusta, feroce e anche male amministrata questo non va semplicemente addebitato ad una cattiva gestione delle cose. Nel corso del ventesimo secolo i fautori di società socialiste hanno di volta in volta attribuito a Stalin, Mao, Pol Pot, Breznev o Castro la responsabilità dei vari fallimenti. Sbagliavano della grossa, perché ben al di là delle colpe (pur reali) dei singoli, c’era un’inadeguatezza di fondo del sistema collettivista.

Il socialismo non può in alcun modo essere rispettoso delle libertà dei singoli, né produrre ricchezza: quale che siano i pianificatori incaricati di amministrare il mondo.
Qualcosa di simile, in termini più moderati, può essere detto per lo Stato, che è collettivista nella sua natura più profonda. E quindi è assolutamente indispensabile far comprendere che se il socialismo radicale dei regimi comunisti ha prodotto solo guasti, non c’è ragione di aspettarsi granché dal socialismo moderato dei vari Obama, Sarkozy, Berlusconi o Brown.

 

C’è comunque un’altra questione da tenere presente. Oltre al persistere di concezioni stataliste (protezioniste, keynesiane o tecnocratiche, ma tutte analogamente schierate a difesa del potere) chi crede nei diritti dei singoli, e quindi vorrebbe vedere crescere gli spazi della libertà di mercato, deve fare i conti anche con un coacervo di interessi ben precisi. Politici ed intellettuali perseguono il sogno di governare il mondo, e traggono un miserabile piacere dal fatto di trattare gli altri come realtà manipolabili, ma essi sono facili alleati di quanti sanno che grazie allo Stato possono conseguire facili rendite e guadagni immeritati.

Che si tratti delle grandi imprese del Nord come dei disoccupati organizzati del Sud, dei liberi professionisti organizzati in corporazioni chiuse o dell’esercito dei dipendenti pubblici, da ogni parte giungono allo Stato richieste che producono un’espansione della spesa pubblica, della tassazione, del debito. La diffusa incomprensione della vera natura dello Stato si trova quindi fatalmente alleata con il cinismo di chi intende soltanto vivere alle spalle degli altri.
Per gli spiriti liberi quella che si presenta oggi, allora, è una battaglia difficile. Ma vale la pena di combatterla.

Carlo Lottieri

Direttore del dip. Teoria Politica dell'Istituto Bruno Leoni, Docente di Filosofia del Diritto all'Università degli Studi di Siena .