La Donna Negata, viaggio nell'inferno femminile della Shari'a
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<p>“Dalle consuetudini barbare dei paesi islamici integralisti, a storie vere di donne senza futuro e alle violazioni ai diritti fondamentali dell'uomo, che si perpetrano da anni all'interno dei paesi islamici e si ripercuotono, purtroppo, anche nella vita quotidiana della nostra bella Italia. Fino al rifiuto delle amministrazioni olandesi di porre una targa dove Theo Van Gogh ha perso la vita. Per non turbare la comunità musulmana.
La shar'ia, la famosa legge islamica che impone l'uso del velo e vieta molte altre forme di libertà, incatena ancora oggi moltissime donne. Senza che esse abbiano molte possibilità di fuga o di speranza.
E in molti casi le leggi e i tribunali del nostro paese preferiscono lavarsene le mani, appellandosi al fatto della sottomissione di quest'ultime alla legge del loro paese d'origine.”
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'Sono libere le società in cui tutti gli individui sono liberi'
Qasem Amin, La liberazione della donna, Egitto, 1899
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Mentre leggevo il breve dossier di Daniela Santanchè, "La donna negata", mi sono tornate in mente le semplici parole di Martin Luther King , quando affermava che 'L'ingiustizia in qualsiasi luogo, è una minaccia alla giustizia ovunque'. Se pensiamo alla diffusione sempre più crescente della religione islamica e alle torture e privazioni a cui essa sottopone le proprie donne anche all'interno del nostro paese, dobbiamo senza dubbio riconoscere che le violazioni ai diritti fondamentali dell'uomo, che si perpetrano da anni all'interno dei paesi islamici, si ripercuotono, purtroppo, per queste ultime, anche nella vita quotidiana della nostra bella Italia.
Per le donne musulmane, abusi e maltrattamenti sono all'ordine del giorno: la shar'ia, la famosa legge islamica che impone l'uso del velo e vieta loro molte altre forme di libertà, ne incatena ancora oggi la stragrande maggioranza. E senza che esse abbiano molte possibilità di fuga o di speranza, dato che in molti casi le leggi ed i tribunali del nostro paese preferiscono lavarsene le mani, appellandosi al fatto della sottomissione di quest'ultime alla legge del loro paese d'origine.
Durante un incontro con il filosofo Jurgen Habermas, a Monaco, nel 2004, Joseph Ratzinger definì 'patologie' delle religioni, tutti quegli atteggiamenti oltranzisti, derivanti da un'interpretazione erronea e delirante dei testi sacri, riconoscendo alla 'luce divina della ragione', il compito di mitigarne gli eccessi. Rientrano fra queste patologie, secondo Ratzinger, il terrorismo, le guerre fra fedi diverse, le persecuzioni e gli atteggiamenti di intolleranza e di violenza presenti nella storia delle religioni. A questa categoria, appartengono, ovviamente, anche le violenze esercitate nei confronti del mondo femminile, violenze, che non vengono, come si vuol spesso far credere, contemplate nelle pagine del Corano. In alcuni passi del libro sacro dell'Islam, si tende, al contrario, ad esaltare la figura femminile, come ad es, nella sura IV,19: 'Siate gentili con esse [ââ¬Â¦] in cui Dio ha collocato un bene enorme'.
All'interno di questo breve ed incisivo dossier, Daniela Santanchè, raccoglie le storie ed i gridi di disperazione di alcune musulmane, che hanno trovato il coraggio di denunciare le miserie di un'esistenza negata, di un'identità sopraffatta e schiacciata dalla paura e dalla violenza quotidiane. La storia di Amina, un'algerina trentenne che abita a Torino, picchiata a sangue dal marito e dai parenti di lui, perchè non voleva accettare in casa sua la seconda moglie del marito. La storia di Amel, investita da un parente, che l'aveva sorpresa in strada senza il velo. E ancora la storia di Souid, spinta giù dal balcone dal marito, solo perchè essendo incinta, non riusciva più a lavorare come prima. Se ne potrebbero raccontare all'infinito di queste storie, infiniti universi di dolore, dove terrore e rassegnazione sono i compagni quotidiani.
Credo comunque che la cosa più triste sia constatare che anche qui, nella civilissima Italia, le cose non cambino molto, poichè i nostri giudici riconoscono che le donne musulmane, in quanto tali, sono sottoposte alle leggi dell'islam, norme che, in nome del Corano, ne sanciscono l'inferiorità giuridica e sociale nei confronti dell'uomo.
Alcune di queste consuetudini sono particolarmente barbare e crudeli: 1) come vendicare le offese: se un musulmano vuole punire qualcuno perchè ha subito un'offesa o perchè la sua donna è stata corteggiata da un altro, raduna parenti ed amici e si reca a casa del colpevole per violentare la prima donna della sua famiglia che gli capita a tiro, sia essa sua figlia, sua madre, sua sorella.
2) Alle donne vittime di stupro non resta poi che togliersi la vita, poichè verranno considerate impure ed indegne.
3) Per quelle che hanno perso prematuramente la verginità, la shari'a, prevede la condanna a morte, anche se la perdita della stessa è avvenuta a causa di violenza. Ogni anno vengono uccise non meno di cinquemila donne per questo motivo.
4) Infibulazione: come dimenticare questa atroce consuetudine? Ebbene, essa non consiste, come si crederebbe erroneamente, nella sola esportazione del clitoride, ma bensì in una operazione dieci volte più cruenta. Per garantirne la purezza fino al matrimonio, alla bambine, viene asportata parte della vulva e praticata la clitoridectomia. Successivamente, si graffiano le pareti interne con un oggetto tagliente, un coccio di vetro, un coltello o quello che si trova, anche uno sbucciapatate, in mancanza di meglio (!) per fare aderire le pareti vaginali e chiudere il tutto, poi con ago e filo.
In Italia, si è proceduto, almeno su questo fronte all'emanazione di una legge che punisce questa pratica, soprattutto se operata su minorenni. Su questa questione, ogni donna degna di tal nome, sia essa di destra o di sinistra, dovrebbe trovarsi d'accordo ed invece, siccome la legge è stata varata dal Fu Governo Berlusconi, c'e' sempre qualche senatrice del centro-sinistra che si sente in dovere di rovinare la festa.
Cinzia Dato, senatrice della Margherita, condanna la riforma come troppo repressiva e lesiva della cultura islamica: 'Sono norme troppo repressive, l'infibulazione va contrastata senza pregiudizi culturali. Che dire delle nostre minorenni che si rifanno il seno o si ritoccano le labbra per compiacere gli uomini? In entrambi i casi si tratta di pratiche barbare che hanno, pero un substrato culturale'.
Peccato che la scelta di ricorrere alla chirurgia estetica sia una scelta volontaria e mirata al raggiungimento di un certo tipo di ideale di bellezza (discutibile o meno), mentre invece non si puo dire la stessa cosa di quella mutilazione fisica e morale che l'Islam impone alle proprie donne. Fortuna che ci sono le esponenti femminili del centro-sinistra che si ergono a difesa delle libertà della categoria! Loro che da sempre sbandierano ai quattro venti l'emancipazione della donna nella società con minigonne e reggiseni per aria, si piegano a questi vili ricatti di partito e girano la testa dall'altra parte.
Proprio loro, le sinistre, sempre pronte a scagliarsi contro la pena di morte, contro gli inferni delle carceri americane, sempre pronte a sventolare bandiere arcobaleno ogni qualvolta si parli di guerre e conflitti, come possono tacere di fronte a tutto questo? Le donne musulmane non sono forse degne di tutela al pari degli altri esseri umani?
Non concepisco personalmente come si possa etichettare come 'cultura' un tale insieme di soprusi e di barbarie. La mia idea di cultura è molto diversa. La cultura è
Bellezza. La cultura è Civiltà. La cultura è Vita. La cultura è Libertà. E' l'insieme di tutti quegli elementi che contribuiscono allo sviluppo della società e all'evolversi della coscienza umana. La cultura è Rispetto, per noi stessi e per gli altri.
La cultura non va a braccetto con la repressione, non si accompagna con la morte, ma è l'amica fedele della Vita.
Concludendo, voglio citare le parole dell'autrice del libro, Daniela Santanchè, in questo splendido richiamo all'Occidente per la difesa delle nostre radici culturali, augurandomi che in Olanda venga presto eretto un monumento laddove il coraggioso regista Theo Van Gogh ha perso la vita in nome della libertà: 'E' ora di fare chiarezza anche tra di noi - ricorda Anneke van Gogh che nel luogo dove è stato ucciso suo figlio - non ci sarà nulla a testimoniare quello che è successo. Lo ha deciso il consiglio di quartiere per non turbare la sensibilità dei musulmani che abitano la zona. Forse- dice- metteranno una piccola lapide in un parco poco distante.
Dovremmo ritornare a capire, anche da cose come questa, che quello che ci fa essere cio che siamo è la coscienza di avere dei valori da difendere e perseguire e dei non-valori da rifiutareââ¬Â¦'
Serena Mannelli
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