L’AGOGNATO STRAPUNTINO
Da un po’ di tempo, ormai quasi un paio di mesi, mi ero promesso di far pervenire agli amici della redazione di Ultima Thule il mio punto di vista diciamo così “aggiornato” a cinque anni dall’uscita del libro “Democrazia e Libertà – Riflessioni Laiche” (ed. Rubbettino, 2004) dove mi si può leggere nella mia già allora viva speranza che si potesse realizzare un solido bipolarismo anche nel panorama politico italiano.
Ho aspettato a scrivere sperando, ahimè inutilmente, che si aggiornasse il terzopolismo cui si è relegato l’Udc, nuovo interprete della politica dei due forni, la cui fine mi auguravo in tempi brevi proprio cinque anni fa. La speranza, che a dire il vero era già diffusa in tanti cittadini, era quella che ci si potesse trovare innanzi a due poli, uno socialdemocratico e uno di ispirazione moderata e liberale. Un grande partito di sinistra (oggi decimato nei consensi), quale quello condotto alle urne dello scorso anno da Walter Veltroni, e un altrettanto grande partito di centrodestra, il nuovo partito del Popolo della Libertà guidato da Silvio Berlusconi, cui ha aderito oltre a Forza Italia, anche la formazione di Gianfranco Fini: le premesse per una seria evoluzione ci sarebbero tutte. Fuori da queste due grandi aggregazioni, ma fuori-fuori, pochi altri.
La prova delle urne di un anno fa è stata impietosa: la grave sconfitta di Veltroni e del PD, la larga maggioranza parlamentare, sia alla Camera che al Senato, a favore del PDL, forte anche di una solida alleanza regionale con la Lega di Bossi, avevano in larga misura confermato che si stava andando verso un bipolarismo in qualche maniera “compiuto”, come amano definirlo politologi e costituzionalisti. Purtroppo però, l’Udc che non si rassegnava a seppellire lo spirito del dissenso fine a se stesso e i metodi rozzi e inusuali (anche verso il Capo dello Stato) del partito di Di Pietro, continuavano a impedire la realizzazione di una politica più semplificata, capace di meglio interpretare (contrariamente a quanto si possa pensare) i bisogni e le aspettative dei cittadini elettori.
Dal 2004 ad oggi, i due partiti centristi, Margherita e Udc, hanno seguito destini diversi. Il primo si è sciolto nella nuova etichetta del PCI-PDS-DS-PD (per fortuna mancano ancora poche altre combinazioni di lettere e si metteranno l’anima in pace – se siamo il “paese delle banane”, come loro amano dire da perfetti anti-italiani, l’etichetta del marketing politico la dobbiamo proprio a loro, Partito Chiquita), i secondi hanno preferito correre da soli, ma si fa per dire, perché quando qui, quando là, strizzano l’occhio a chi più può dargli in termini di poltrone e poltroncine.
Il risultato? L’azzardo di PD e PDL ha finito col non portare ai risultati voluti negli intendimenti dei due leader. Non solo: c'è chi guida la fronda che vorrebbe rifondare un centro vicino alla sinistra ma al di fuori del PD. Stiamo, in sostanza, tornando indietro: invece di procedere con la maturazione, si inverte il senso delle cose e si cerca di tornare acerbi pro-consoli di un’idea che merita soltanto di essere consegnata alla storia. Qualora venisse partorita l’alleanza tra Casini e PD, saremmo del gatto: l’Italia di tutto ha bisogno, eccetto che di una Mini-DC.
La politica italiana è lontana (e forse si appresta ad esserlo ancora di più) dalla semplificazione e dalla trasparenza che è solo a parole nelle intenzioni e nei buoni propositi di tutti. In Italia è difficile far passare l’idea che le cose si cambiano “dal di dentro”, partecipando ai meccanismi di selezione della classe dirigente, presentando mozioni e documenti ai congressi, prendendo parte alla cosiddetta “democrazia interna” ai partiti (nelle forme che volta volta si possono sfruttare) alla quale è sbagliato e controproducente sottrarsi ogni qual volta si va o si presume di andare in minoranza. È altrettanto difficile rinunciare ai finanziamenti, alle auto blu, ai titoli di “capogruppo di se stessi” (che finiscono solo per ridicoleggiare la politica ai più svariati livelli istituzionali) e a tutti i benefit e i privilegi che, noti alla gente, danno adito a malumori che sfociano nel disgusto, se non ad accuse e critiche verso una casta che altrimenti si contribuirebbe a combattere e sconfiggere.
Che siano in tanti a voler stare ancorati a questo modo di pensare che ancora caratterizza molti protagonisti della politica del centrismo opportunista, lo testimonia la presa di posizione di Rocco Buttiglione, inossidabile Udc, quando auspica che il suo partito vada da solo alle prossime elezioni amministrative regionali. A stretto giro di nota, gli ha prontamente quanto opportunamente risposto il coordinatore vicario del PDL in Toscana, il quale, senza giri di parole come sa fare Riccardo Migliori, precisa come qualora si verificasse un’ipotesi di questo genere, dovrebbe essere automatica anche l’uscita dell’Udc dalle giunte comunali dove siede (senza darsi troppe arie e ben felice di farne parte) assieme agli assessori del PDL, a Lucca e Prato. Migliori ha solo puntualizzato come, appunto, non si può essere parte e non parte di un’alleanza peraltro naturale col centrodestra solo quando ci siano poltrone da spartire, quand’anche il più minimo strapuntino intravisto dall’altra parte può essere oggetto del desiderio di questo o quel pretendente scudocrociato. Ben inteso che ci possono essere delle eccezioni, ma altrettanto chiaramente detto che il metodo di giustificarsi con “casi isolati” non può essere accettato in una strategia che impone scelte chiare, senza tentennamenti e ambiguità.
Andrea Bonacchi
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