non aprite quel sipario (con i nostri soldi)
Sono davvero felice di scrivere questa piccola riflessione sulle parole di un autore che ho sempre amato, ma che non mi è mai stato simpatico. Apparentemente arruolato da sempre nelle schiere dell'intellighenzia di sinistra, Alessandro Baricco se ne esce sul bollettino quotidiano di guerra dei lor signori (Repubblica) con un pezzo spiazzante per molti, aria fresca per noi. http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/spettacoli_e_cultura/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco.html
L'outing di Baricco è molto interessante innanzitutto perchè proviene da un personaggio inserito nel mainstream della cultura di sinistra e assunto spesso ad icona per certe battaglie salottiere. Dette da lui certe cose rimbombano nella testa degli pseudo intellettuali (mantenuti con i soldi di chi produce) e non passano inascoltate come quando, a dire le medesime cose, siamo noi, "fanatici" liberisti.
Baricco fa una puntuale analisi su ciò che i finanziamenti statali alla cultura hanno prodotto in Italia, sottolinenando i risultati penosi di queste politiche che. non solo non hanno prodotto cultura, ma non hanno nemmeno diffuso quest'ultima al popolo bue.
E' l'ora di rendersi conto che l'erudizione di stato non ha più senso alcuno. Lo aveva forse durante gli anni '60, quando appositi programmi Rai miravano all'afabetizzazione e all'insegnamento della lingua italiana a tutto lo stivale, ma non certo adesso. Lo stato oggi dovrebbe tenersi alla larga da tutto ciò che riguarda cultura e istruzione, per non rischiare di minarne la libertà.
Baricco cita i tre obiettivi che i finanziamenti pubblici avrebbero dovuto raggiungere: rendere accessibile a tutti la cultura, difendere produzioni che ci sembrano preziose (a prescindere dal mercato) e soddisfare l'esigenza, che le democrazie hanno, di avere cittadini "minimamente colti" e informati.
Il primo obiettivo, continua l'autore, cade sotto i colpi della globalizzazione culturale, di internet e delle infinite possibilità che tutti hanno di raggiungere e consumare qualsiasi tipo di contenuto.
La difesa degli spettacoli "protetti" è invece sempre più trita e ricorda una sorta di accanimento terapeutico che mira a tenere in vita qualcosa già morto. Sembrerebbe inutile ribadire che spettacoli agonizzanti messi in scena solo grazie ai soldi dei contribuenti sono una follia a cui qualcuno dovrà prima o poi porre rimedio.
Ci sentiamo di aggiungere un paio di considerazioni, al pure ottimo pezzo dell'autore di Oceano mare: la prima considerazione riguarda il FUS (Fondo Unico per lo spettacolo) e l'altra riguarda la proposta di redistribuzione dei soldi "tolti" alla cultura, redistribuzione che, secondo Baricco, dovrebbe vedere, tra i beneficiari, la scuola e la televisione.
Partiamo dal FUS. Spettacoli teatrali, pseudo cultura, musica colta, cinema "impegnato" e altre stronzate di questa risma sono mantenute da tempo immemorabile grazie al Fondo Unico per lo Spettacolo, che tutti attaccano - non per lo scandalo che rappresenta la sua stessa esistenza - quanto perchè, in tempi di vacche magre, i denari elargiti sono sempre di meno.
Teatranti, attori, registi, ballerini, giullari e saltimbanchi mantenuti dai nostri soldi dovrebbero tuttavia comprendere che lo spettacolo ha senso solo se funziona e, per capire se una cosa funziona, c'è un solo modo: contare quanti biglietti si staccano alla casse e capire se ci si è rimesso o meno, se una data produzione sta nel mercato, se la gente la vuole, o la vogliono soltanto coloro che l'hanno creata per proprio vezzo o personale protagonismo. I format che funzionano saranno riproducibili ed esportabili, il resto che riposi in pace.
Come detto non sono d'accordo con Baricco sulle sue due proposte di girare i soldi dei taxpayer a Tv e scuola.
1) La TV: la televisione di qualità - quella che fa cultura - non è la televisione pubblica. Partendo da questa evidenza, chiediamoci in modo altrettanto semplice: è giusto dare i nostri soldi ad una televisione che dà il medesimo servizio delle reti private? La Rai ha abdicato la propria funzione culturale da tempo immemorabile, piegandosi a logiche di partito e proponendoci personaggi e trasmissioni polverose che escono da qualsivoglia logica di mercato. Ma poco male se questo non-servizio si autofinanziasse esclusivamente con la pubblicità, come fa Mediaset. Il problema è che la Rai - pur avendo gli spot - ha anche il canone, pagato da tutti noi, anche da chi la Rai proprio non la guarda.
Quale soluzione per una tv migliore? Non quella indicata da Baricco: non più soldi quindi, ma meno soldi, anzi zero. Vendere il carrozzone di Viale Mazzini dovrebbe essere una priorità per qualsiasi governo - non dico liberale - ma almeno di buon senso.
E smettiamola una buona volta con la cantilena che la Tv deve educare. C'è tv e tv, ognuno si sceglie la sua. C'è anche quella che educa, ma non è quella pubblica. Quindi basta soldi alla Rai. Chi consuma cultura la troverà a buon prezzo sui canali Sky di Discovery, History, National Geographic e su molti altri tutti rigorosamente privati. Come volevasi dimostrare, anche in questo campo, il mercato riesce a provvedere da solo.
2) La scuola: consigliamo a Baricco la lettura di un classicone come liberalismo di Von Mises, dove la trattazione dell'argomento è ridotta a poche, semplici, righe nelle quali si spiega come la scuola - finchè rimarrà prerogativa statale - non potrà mai funzionare ed essere veramente libera."Non si riuscirà a spoliticizzarla finchè resterà in piedi come istituzione pubblica e obbligatoria. C'è un solo mezzo per farlo: fare in modo che lo Stato, il governo, le leggi non si occupino della scuola e dell'istruzione; che il denaro pubblico non sia speso per questo; che l'educazione e l'istruzione siano affidate interamente ai genitori e alle associazioni e agli istituti privati". Insomma, altro che più soldi.
Ben vengano dunque le uscite di Baricco ma il vizio di questo ragionamento è alla base: i soldi non si devono togliere da una parte per poi redistribuire da un'altra, altrimenti saremo daccapo! I soldi vanno risparmiati per poi ridurre le tasse alle imprese, agli imprenditori, ai lavoratori e a chi mantiene tutta la baracca e manda avanti, tra mille difficoltà, questo disgraziato paese.
D.M.
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