PERDUToAMOR


VOTO: 6
<p>

E’ l’esordio cinematografico di Franco Battiato, celebre cantautore.
Ma il cinema è un’arte diversa dalla musica e rivendica le proprie regole, che non andrebbero sottovalutate nemmeno da un grande compositore come Battiato.
Il risultato è un cortometraggio pieno di ambizioni, visivamente più vicino ad una clip o ad un documentario che ad un film, infarcito di citazioni e di “apparizioni” di filosofi.
Bellissima la colonna sonora, che spazia da Bach a Bruno Lauzi con straordinaria semplicità.
<p> </br> </br> </br> </br><p>Il film è idealmente diviso in tre parti e descrive la formazione (tra la metà degli anni '50 e la metà degli anni '60) di un giovane siciliano Ettore Corvaja, un alter ego più che palese dello stesso Battiato, che narrando la crescita di questo ragazzo di Catania fa nè più nè meno che un’operazione di autobiografia.
La prima parte del film va dalla fine del festival di San Remo del 1955 all'autunno-inverno dello stesso anno; il protagonista, ancora bambino cresce tra la gioia di vivere di quel tempo e gli insegnamenti del suo mentore, un colto aristocratico del paese.
<p>
<p> Elemento essenziale su cui ruoterà tutta la sua vicenda personale è in primo luogo la sua famiglia e soprattutto la sua terra, la Sicilia a cui Battiato fa una vera e propria dichiarazione d’amore.
Nella seconda parte Ettore ha vent'anni e ha già fatto le sue scelte e i suoi studi. Siamo nel pieno del boom economico e delle sue contraddizioni.
Nella terza parte Ettore è a Milano e vi scopre una città piena di fermenti e di frenesia; qua incontra un gruppo esoterico che gli apre un nuovo mondo, fatto di esplorazioni della propria interiorità, di letture molto particolari, di scoperta dell’eros tantrico. Tutti elementi, questi, ben presenti nel DNA delle canzoni del compositore siciliano.
<p>

L’aspirazione di Ettore è scrivere e il suo primo lavoro viene notato da un piccolo editore che lo mette sotto contratto. Il film finisce là dove inizia la nuova vita (il successo?) di Ettore-Franco Battiato.
“Partiti da un soggetto assolutamente pretestuoso, con Manlio Sgalambro,” dice lo stesso Battiato, “abbiamo scritto una sceneggiatura per un film-balletto. Il protagonista, un “cavaliere inesistente”, condivide con gli altri caratteri (stereotipi di comodo) l'incontro con lo 'straordinario” (…) Così la lezione di cucito, di tantra, l'esoterismo, la filosofia. Il mio intento era quello di comporre e plausibilizzare questi sprazzi di veglia. La macchina da presa è il vero protagonista.”
<p>

Ma la macchina da presa che non si cura minimamente dei tempi “canonici” del cinema, avventurandosi in pause, talvolta forse troppo lunghe, per poi ripartire in veloci flah sganciati da una precisa logica temporale.
La musica è tutto il resto, o forse il più.
Bellissima, non c’è che dire: descrive più di mille riprese e mille parole quello che Battiato ci vuol comunicare: il ritratto di un’epoca, il quotidiano e l’universale, l’amore e la terra.
Proprio alla sua Sicilia è dedicata l’ultima battuta del film, dove l’ottimo Sgalambro, ci spiega con parole toccanti come Ettore, emigrato a Milano in cerca di successo, prima o poi tornerà sempre nella sua Isola, perchè “questa richiama tutti coloro che ci sono nati. E li reclama a sè come un diritto”.
E’ il messaggio d’appartenenza più bello, da estendere a tutte le terre d’Italia.

</p>