saviano non è un eroe e vi spiego perchè
Il “caso Saviano” ha scaldato gli animi dei media e della cosiddetta opinione pubblica per mesi e mesi. Litri d’inchiostro, ore di talkshow, ospitate d’eccezione e poi il silenzio. Ora, dopo il grande successo di Gomorra, esce il nuovo libro “La bellezza e l’inferno”, raccolta di scritti inediti e non dal 2004 al 2009. Ma stavolta Saviano non sbanca le librerie. La gente non è più interessata alla lotta alla camorra? O non è più interessata a Saviano? In questo caso si tratta per lo più di scritti già pubblicati, quindi bissare il boom di vendite di Gomorra era comunque impensabile. Ma non sono un’esperta di marketing editoriale, quindi sorvolerò sull’argomento.
Mi sono piuttosto chiesta se la lotta alla camorra avesse perso quello che sembrava essere diventato il suo nuovo volto. Poi forse ho pensato che, quello che a me è sembrato chiaro sin dall’inizio, d’improvviso fosse chiaro a tutti. Saviano nel suo libro non ha scritto nulla che già non sapessimo. Ha ricostruito in modo impeccabile la storia degli scissionisti del clan Di Lauro, ha raccontato del dominio di Sandokan a Casal di Principe e del suo inevitabile declino. Ci ha descritto le donne della camorra pronte a prendere il posto dei mariti con una ferocia mascolina e ci ha ricordato anche di chi, come don Peppino Diana, ha tentano invano di ostacolare il “sistema”, pagando con la propria vita. Ha scartabellato atti di processi, ha rovistato in archivi di giornali e ha scritto e ripercorso la storia della camorra degli ultimi vent’anni. Nulla che non sapessimo già. Nulla di nuovo per gli investigatori, e nulla di nuovo per un semplice appassionato della cronaca del posto ( e fidatevi che sul luogo ce ne sono tanti).
Perché allora tutto quel movimento e tutto quel tumulto per Gomorra? Perché ci si è così meravigliati di quanto aveva scritto? Sebbene non avesse raccontato nulla di nuovo, Saviano ha portato il problema sotto i riflettori, gli ha dato quell’attenzione mediatica che gli mancava da anni, e ha vestito i panni del nuovo eroe che lotta contro il male. Ha dato al problema la giusta attenzione, che non sempre riesce ad avere a livello nazionale. Come lui stesso ricorda, l’entroterra casertano che si dipana tra Casal di Principe, Casapesenna e Villa Literno è una delle zone di guerra più attive d’Europa, ma anche una delle più ignorate. Dopo una breve ribalta mediatica, il rischio ora è che torni nell’oblio delle cronache locali, e sia di nuovo un problema di pochi.
Saviano ha già dimesso i panni dell’eroe? Il dubbio di molti, oggi, è che li abbia mai indossati. Intendiamoci, tutto quanto ha scritto è tremendamente vero. Non c’è nulla di inventato, o di rielaborato con la fantasia. Forse la lettura di Gomorra è più pregnante per chi quei posti li conosce, li ha vissuti, ha seguito le storie nel corso degli anni, e non si chiede se sia o meno vero, perché sa per certo che è così che sono andate le cose. E forse proprio perché sono cresciuta da quelle parti la storia di Gomorra non mi ha sconvolto, e forse per questo mi aspettavo qualcosa di più da Saviano.
Dopo la pubblicazione ero sicura che ci sarebbe stata una dura lotta in prima linea. Ma lui ha risolto il tutto in convegni, incontri, dibattiti e parole. Ha ragione quando dice che “scrivere è fare resistenza”, ma credo lui stesso sia consapevole che scrivere e parlare non basta, non è sufficiente. Saviano ha vissuto in quelle terre martoriate, sa che è davvero troppo poco. Forse fa scalpore, ma non lascia il segno a lungo termine, purtroppo. I veri eroi del posto sono quei piccoli imprenditori che decidono di ribellasi al racket, e che vedono letteralmente andare in fumo quelli che sono anni di lavoro e di sacrifici.
Il problema è che sono ancora troppo pochi, e che il più delle volte passano inosservati. Vengono intervistati per il servizio giornalistico del giorno e poi su di loro cala il silenzio dell’anonimato.
Cosa pretendessi da Saviano? Non so di preciso. So solo che per me ha fatto troppo poco per essere considerato il simbolo della lotta alla camorra, come molti lo hanno etichettato. Da uno a cui si attribuisce un epiteto del genere io non mi aspetto certo che si lamenti costantemente per quanto sia dura la vita sotto scorta. Mi aspetto una reazione decisa, di uno che vada a denunciare, visto che più volte dice nel suo libro “Io so e ho le prove”. Mi aspetto che, dopo aver raccontato delle gesta di don Peppino Diana, lo prenda come esempio e cerchi di portarne avanti in parte le idee restando a combattere sul posto. Forse queste erano solo mie aspettative ( ma come me, credo, di molti altri), ma non era mai stata l’intenzione di Saviano. Forse il suo scopo era solo scrivere e non lottare davvero. E allora non dico un banalità affermando che è uno scrittore, come ce ne sono molti in giro, e niente di più.
Intendiamoci anche se facesse l’eroe, di certo la camorra non la sconfiggerebbe Saviano da solo. Sarebbe assurdo pensarla così. Forse lui stesso è consapevole che la sua lotta non basterebbe, e allora ha deciso di fare un passo indietro. Ma basterà mai la lotta di qualcuno? Questo è il vero problema. Si può davvero sconfiggere il “sistema” o è utopia allo stato puro? Forse non ci riusciremo mai, ma di certo si può fare molto di più. Il fronte della lotta alla camorra deve essere duplice: quello dello Stato e quello dei cittadini. L’uno o l’altro da solo non ha possibilità di riuscita. La legalità non può essere imposta dall’alto, deve essere voluta e accettata. E non può nemmeno essere richiesta a gran voce dalle persone, per poi vedere i cosiddetti rappresentanti delle forze dell’ordine più sfiduciati dei cittadini stessi.
Di pari passo con la legalità bisogna puntare su una rinascita del tessuto economico campano, garantendo così una concreta alternativa al grande impero della camorra. Un po’ di tempo fa dalle pagine del Corriere della Sera Panebianco invocava con l’audacia liberale che lo distingue, una zona “free tax” per tutto il Sud Italia, in modo da permettere un rilancio del Sud, che offrisse una concreta possibilità per raggiungere il livello economico del Nord. Potrebbe essere un inizio,- anche se sappiamo che la richiesta resterà inascoltata - per la Campania e per tutto il Sud. Si chiami camorra, mafia o ‘ndrangheta, la sostanza è sempre la stessa. La riuscita economica e la legalità sono dipendenti l’una dall’altra, intrecciate ad unico destino di successo o di fallimento.
Quando la legalità diventerà parte integrante dell’orgoglio della popolazione allora la lotta alla camorra sarà più concreta, e non sarà più fatta solo di parole. Al momento l’orgoglio partenopeo può puntare solo sul buon cibo e sulla buona musica, e, sinceramente, di quello, non si sa più che farsene.
Francesca Ottaviano
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