Staccate la spina a General Motors
Il mercato, come ha scritto un grande blogger (Oggettivista), siamo tutti noi, sono le libere scelte che poniamo in essere nella nostra vita quotidiana. Ed al mercato, in questo periodo di crisi, vengono addossate le colpe. Tutte. Comprese crisi di aziende iniziate anni ed anni fa e trascinatesi sino ad oggi a causa (si, a causa) dello Stato.
Spicca nel dibattito politico economico di questi giorni la questione delle 3 case automobilistiche americane, le cosiddette “Big Three”: GM, Chrysler e Ford.
Le tre sorelle sono in crisi da tempo e, come giustamente ci ricorda Alberto Mingardi del Bruno Leoni, sono riuscite a restare in vita e a prolungare nel tempo la propria inefficienza solo grazie ad aiuti statali emergenziali che risalgono ai tempi di Carter e Reagan.
La crisi dell'azienda automobilistica USA, quindi, non è causata dall'attuale crisi economica, ma ne risulta soltanto acutizzata.
Negli Stati Uniti producono vetture non solo GM, Chrysler e Ford ma anche diverse aziende non americane come Toyota, Honda, Nissan, Bmw e Subaru le quali, pur non vivendo periodi floridi, non navigano certo nelle acque del fallimento.
Questa industria, nel 2006, ha dato lavoro a 402,800 americani per un salario medio di 63,358 $ e solo una parte di essa è alla canna del gas.
Le uniche appese al filo dell'aiuto pubblico sono le aziende autoctone americane. E questo per diversi motivi, tra cui: costo orario del lavoro quasi doppio rispetto alle altre aziende del settore che producono auto nel paese, consociativismo del quieto vivere tra sindacati e management, manager incapaci ed inefficaci, scelte imprenditoriali sbagliate e veicoli prodotti che non rispondono alle richieste dei consumatori.
E l' ultimo punto non è certo il meno importante: perché i consumatori di tutto il mondo non comprano i prodotti delle case americane?
Questi prodotti, evidentemente, vengono giudicati inferiori ad altri e scartati. E' il mercato, bellezza.
Quindi, nessun politichetto italiano vada in televisione per spiegarci che lo stato è necessario perché il “mercato ha fallito”: il mercato ci “vede” benissimo ed ha decretato che GM & Co. devono fallire e ripartire.
Solo interventi artificiali, come quello statale, hanno mantenuto in vita dei malati terminali concorrendo a peggiorare la situazione ed allungarne l'agonia (come, in sostanza, sta succedendo nel caso Alitalia nel nostro paese).
I sussidi statali servirebbero solo a spostare nuovamente di 6 mesi o di 1 anno la situazione attuale. E' quindi accettabile che i contribuenti americani, ad esempio quelli che lavorano nelle altre imprese che assemblano veicoli negli USA e che sinora non hanno avuto i benefits riservati ai dipendenti di GM & Co., i piccoli imprenditori che nessuno mai aiuta, debbano pagare per gli errori imprenditoriali trentennali di alcuni?
E' giusto che, in tempi di difficoltà, debbano essere premiate aziende inefficaci, incapaci di rispondere ai bisogni dei cittadini, a danno di lavoratori e imprenditori che grazie a giuste e più oculate politiche imprenditoriali non sono sull'orlo del fallimento? No. Non è assolutamente giusto.
Mingardi, giustamente, considera il ricorso al “Chapter 11” (portare i libri contabili in tribunale, in sostanza) una scelta migliore: contribuirebbe a ristrutturare il posizionamento sul mercato delle tre sorelle, non peserebbe sulle tasche dei contribuenti inutilmente e faciliterebbe quella razionalizzazione industriale rimandata da troppo tempo dai colossi di Detroit.
J.Landi
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