Un comunista eletto ad una carica ormai priva di senso

“1956, le truppe sovietiche occupano l’Ungheria che si era rivoltata per conquistare la propria libertà. Un esponente di punta del PCI di allora diceva: - L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma ha anche contribuito alla pace nel mondo. - Quel compagno zelante era Giorgio Napolitano, il nostro attuale presidente della Repubblica.
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Quello che ci chiediamo ora, al di là delle considerazioni su questo discutibile personaggio, è: ha senso la figura del Presidente della Repubblica?
E poi: è mai possibile issare sullo scranno del Quirinale una figura che rappresenti l’unità della Nazione, senza attingere ai grandi vecchi, avanzi sempre verdi della Prima Repubblica che sfidano le leggi della biologia?”</i>

Il centrosinistra è in vantaggio. La maggioranza non è quella risicata del Senato, ma sarà consolidata dai deputati della camera e dai rappresentanti delle regioni, in larga maggioranza sinistrorsi. Dunque, è spettato a loro proporre il nome o la rosa di nomi da indicare per il Quirinale, anche se il buon senso vorrebbe che sulla decisione finale si fosse cercato il consenso di almeno una parte dell'opposizione.
Il centrodestra le ha provate tutte. Prima ha proposto il suo nome migliore, quello di Gianni Letta, poi, di fronte alle resistenze della nuova maggioranza, Berlusconi ha rilanciato l'ipotesi del Ciampi bis, alla quale la sinistra non avrebbe potuto dire di no. A dire di no, e a levare Prodi dai problemi, ci ha pensato lo stesso Ciampi. Allora si è parlato di Marini (con un nuovo Presidente del Senato in quota CdL), infine di Monti. Niente da fare.

Gli unici nomi graditi all'Unione sono stati quelli di Massimo D'Alema e di Giorgio Napolitano.
Il primo è quello di un comunista doc. Passato per la transizione PCI-PDS-DS, uno tra i pochi ad essere aperto verso gli USA, rimane comunque nell'immaginario collettivo (e in fondo al cuore) un rosso a tutti gli effetti. E non è poco. In nessun modo, infatti, Baffino avrebbe potuto rappresentare tutti gli italiani.
L'alternativa, che ha vinto la contesa, pero non consola. Napolitano è uomo di sicura e comprovata fede diessina, membro storico del Pci, ai tempi dell'invasione di Ungheria, si schiero senza mezzi termini con le truppe sovietiche. Sono sue queste dichiarazioni, all'epoca dei fattacci: "L'intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma ha anche contribuito alla pace nel mondo". Con gli anni e la senilità Napolitano si sarebbe spostato su posizioni più socialdemocratiche.
Tra i due avremmo avuto voglia di scegliere D'Alema, rosso sì, ma di gran lunga il miglior politico del centrosinistra, gradito a Berlusconi, ma inviso a tutto il resto del centrodestra. Ma il problema di mandare giù un rospo scarlatto passa in secondo piano di fronte ad una questione ormai strutturale ben più preoccupante.

Ha senso, in un Paese nel quale si è consolidata una pur mediocre tradizione bipolare, la figura del Presidente della Repubblica? E' possibile issare sullo scranno del Quirinale una figura che rappresenti l'unità della Nazione, senza attingere ai grandi vecchi, avanzi sempre verdi della Prima Repubblica che sfidano le leggi della biologia?
Il problema è particolarmente scottante, e ce ne accorgeremo ancora di più.

Il modello centrista e democristianoide permetteva di esprimere personaggi moderati, espressione di un grande, grandissimo centro, capaci di incarnare il Paese tutto, o almeno la sua maggior parte. Ma in un sistema destra/sinistra (scellerate tentazioni neocentriste a parte), chi potrebbe esercitare il ruolo?
Se l'elezione del Presidente della Repubblica deve avvenire a colpi di maggioranza, in base alle volontà di questa o quella coalizione che di volta in volta governano, tanto vale eleggerlo ogni cinque anni, contestualmente alle elezioni politiche. In realtà questa è una provocazione, ma non troppo infondata. Meglio ancora sarebbe abolire una figura che appare anacronistica.

In Francia la più alta carica dello Stato è dotata di ampi poteri politici, tali da mettere in ombra lo stesso premier, ma il modello francese crea un'inutile confusione pasticciata nel caso della coabitazione.
Migliori appaiono, piuttosto, i modelli inglese e americano. Gli inglesi hanno una figura che rappresenta la Nazione tutta e ne incarna la tradizione secolare di istituzioni consolidate nel tempo: quella del sovrano che, in una monarchia parlamentare uscita dalla più liberale delle rivoluzioni (guarda caso anche la meno violenta), ha poteri limitati quasi alla sola rappresentanza.
Non esercita la sua autorità a danno dei sudditi e non infrange i valori liberali che, da sempre, ne animano il Paese. Gli americani, figli di una nazione più giovane, priva nel proprio DNA di una millenaria tradizione tipica della vecchia Europa, hanno scelto un modello che anche per l'Italia sarebbe più facilmente applicabile (evitando di riaprire vecchie ferite mai sanate nella coscienza nazionale): una repubblica presidenziale dominata dalla figura di un capo dello stato che, espressione di una sola parte del Paese, quella uscita vincitrice dalle elezioni, presiede il governo e ne determina la politica. In ambo i casi si evita il controsenso di un capo dello stato eletto dal partito o dai partiti di maggioranza e chiamato a rappresentare lo spirito e l'unità del Paese.
Dovrebbero rifletterci i nostri illustri governanti e costituzionalisti. Sono al passo coi tempi le figure della Prima Repubblica?

Mitrandhir
in collaborazione con D.M.