ANCHE SE ANDATE IN BICICLETTA IL CLIMA NON CAMBIA
Repubblica cita uno studio tedesco pubblicato su "Nature" che sostiene che il global warming presto diventerà global cooling e che la Terrà si sta raffreddando. Pochi giorni dopo il Corriere scrive che la Terra invece si sta surriscaldando come non mai, citando che esistono ben 30 mila anomalie che "inchiodano l'uomo alle proprie responsabilità". Possibile che dal primo Earth Day del 1970 ad oggi nulla sia cambiato?
Bè, in realtà è cambiato molto. Le tesi catastrofiste hanno guadagnato visibilità, pur essendo state sistematicamente smentite, almeno finora. Ironicamente, il primo giorno della terra venne organizzato per marciare contro il global cooling, il raffreddamento globale. La verità è che il clima è un sistema talmente complesso e privo di linearità che esprimere previsioni affidabili è un compito di immane portata, ben al di là delle nostre capacità. Ancor meno convincenti sono le attribuzioni di responsabilità all'uomo. A proposito: il primo Giorno della Terra si tenne il 22 aprile 1970. Un secolo esatto dopo la nascita di Lenin.
Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari nel loro ultimo libro "Che tempo farà" citano dati allarmanti provenienti dal centro nazionale per la ricerca atmosferica: l'applicazione di Kyoto porterebbe nel 2050 ad una riduzione delle temperature nell'ordine di soli 0,06 gradi rispetto a quanto avverrebbe in assenza del trattato, a scapito di costi incalcolabili per le nostre economie. Viene citato anche uno studio dell'IBL che quantifica gli enormi costi economici a cui andrebbe incontro l'Italia.
Il rispetto degli obiettivi di riduzione delle emissioni avrebbe un duplice costo per il nostro paese (e per l'Europa). Da un lato, vi sarebbe il costo "nudo e crudo" delle riduzioni, che il nostro studio ha quantificato nella perdita di circa un punto di Pil all'anno - potrebbe essere di più o di meno, a seconda dei prezzi dei permessi di emissione sul mercato europeo. Ma l'aspetto più grave è un altro: i meccanismi di riduzione forzata delle emissioni rischiano di generare incentivi perversi, che danneggiano la crescita e l'innovazione, per favorire invece attività di "rent seeking".
Sempre i due autori, nel loro primo volume "le bugie degli ambientalisti", parlano di "sviluppo sostenibile", un termine spesso usato (e abusato) in comunicazione sia da soggetti istituzionali che privati. Ci spieghi cosa significa veramente?
Bisognerebbe chiederlo a chi ha coniato quel termine o lo supporta... La definizione di sviluppo sostenibile è vaga e inconcludente. Il dato più rilevante, qui, è il fatto che le categorie dello sviluppo sostenibile vengano sistematicamente chiamate in causa contro l'economia di mercato. Si tratta quindi di un concetto politico. Lo dimostra anche il rapporto "Living Planet" del Wwf, che cerca di definire il concetto di sviluppo sostenibile e conclude che l'unico paese al mondo coerente con tale principio è Cuba.
Qual'è la maggiore prova che viene sbandierata a favore della responsabilità antropica del riscaldamento globale?
Di prove, non ce ne sono. Ci sono indizi. Ma poichè non li trovo convincenti - nè trovo convincente l'urgenza di intervenire anche se fosse provato un significativo contributo umano al global warming - mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
L'Unione Europea spinge una comunicazione forte sul risparmio energetico e i piccoli gesti quotidiani per ridurre la CO2. Poniamo che queste istituzioni fossero così credibili da convincerci tutti ad usare meno macchina e l'aereo, ad abbassare il termostato e spengere le luci come suggeriscono sul sito intitolato "you control climate change" (www.climatechange.eu.com). Cosa cambierebbe? Possiamo davvero "controllare il clima" come ci dicono a Bruxelles?
No, non possiamo controllare il clima. Non cambierebbe nulla in termini di temperature medie globali, o di qualunque altro indicatore oggettivo. Forse la nostra vita sarebbe peggiore perchè costretta a maggiori sacrifici, forse sarebbe migliore in virtù del profitto psichico derivante dalla convinzione di far qualcosa di buono per il pianeta. In ultima analisi, comunque, non vedo problemi di sorta nella decisione individuale di adottare uno stile di vita piuttosto che un altro. Purchè sia una decisione libera.
Tra le prime dichiarazioni rilasciate nella veste di ministro dell'economia, Giulio Tremonti ha detto che a pagarla cara saranno banche e petrolieri. In un tuo recente articolo uscito su "Con" scrivi che rifarsela con le compagnie petrolifere ha poco senso e se anche esse rinunciassero ad ogni margine di profitto il prezzo della benzina non calerebbe di molto.
Se Tremonti intende dire che aumenterà la tassazione sulle compagnie petrolifere, è ovvio che il prezzo dei carburanti aumenterà. Se le compagnie rinunciassero a ogni margine di profitto, il prezzo di benzina e diesel potrebbe calare di qualche centesimo di euro. Mi pare che i veri problemi stiano altrove, e che la trovata del ministro - se troverà traduzione legislativa - anzichè una grande soluzione, sarà un nuovo, piccolo problema.
La comunicazione ambientale e il green marketing è un settore in costante crescita. "L'unica nota di mercato in tutta questa faccenda", ci dicesti una volta. E' ancora così? L'ambiente vende?
Bisogna distinguere. C'è una fetta di consumatori che predilige i prodotti "verdi". Fatti loro. Lo sforzo di tante imprese di cogliere questa domanda è un bell'esempio di come il mercato possa accomodare preferenze molto diverse tra di loro. Altra cosa è il green marketing "indotto", o peggio ancora l'impiego di questi strumenti nell'arena politica.
Richard Lindzen, uno dei più famosi climatologi mondiali, ha rilasciato sul Wall Street Journal: "Gli scienziati che dissentono nei confronti dell'allarmismo imperante vedono i fondi per le loro ricerche sparire, il loro lavoro deriso e loro stessi vengono considerati come venduti alle esigenze dell'industria". Nel flusso di informazioni tra scienza, media e politica, chi trae beneficio da tutto questo?
Soprattutto la politica: il global warming, come tutti gli spauracchi e le presunte emergenze, rappresenta una grande occasione per aumentare il potere dello Stato, cioè delle elites politico-burocratiche, e comprimere la libertà dei cittadini, compresi gli scienziati. Questo è l'aspetto peggiore del dibattito sul riscaldamento globale, cioè la sua perversione ideologica e politica.
Chiudiamo con le ultime aperture del governo per un ritorno dell'Italia al nucleare. Credi sia un opzione ancora fattibile o è solo una grande illusione?
L'uscita di Claudio Scajola mi è parsa apprezzabile e molto coraggiosa, anche se forse un po' incauta. Onestamente, non vedo come sia possibile in soli cinque anni arrivare alla posa della prima pietra di un impianto nucleare. E, a parte questo, non è compito del governo - in un mercato liberalizzato - dire come e quando il nucleare serve al paese. Al governo spetta un altro compito, più generale e più importante: definire un quadro di regole per tutta la filiera nucleare, dalla realizzazione degli impianti al trattamento del combustibile, dalla gestione delle centrali allo smaltimento delle scorie e il decommissioning. Finchè questi passi non verranno compiuti, è illusorio e prematuro parlare di nucleare in Italia. Quindi, non mi aspetto una nuova centrale in 5 anni: sarei più che felice di riforma regolatoria in sei mesi.
D.M.
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