QUESTO BIMBO A CHI LO DO?
Per essere un Paese in cui la fecondazione eterologa è vietata, la Legge 40 del 2004 contiene già una serie di disposizioni che ne regolano eventuali applicazioni in Italia. Pur vietando esplicitamene il ricorso a “tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” (art. 4 comma 3) tuttavia più avanti si trovano interessanti precisazioni che regolano il caso in cui venga violata la disposizione. Più precisamente nell'art. 9 comma 1 si legge che in caso di fecondazione eterologa il padre risultante tale dagli “atti concludenti” non può negare la paternità al bambino; e più dettagliatamente al comma 3 dello stesso articolo si chiarisce persino la posizione giuridica dell'eventuale donatore di gameti che “non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”. Si resta perplessi nel notare quanta attenzione sia stata data ad un procedimento così palesemente vietato.
Forse si è voluto giocare d'anticipo consapevoli che non sarebbe bastato un “No” legislativo a fermare le coppie favorevoli al metodo gettando così le basi su cui lavorare per una eventuale riformulazione ( e ripensamento) in materia di fecondazione eterologa. Senza voler entrare troppo nel merito morale della questione si potrebbe quasi dire che alcuni dei diritti basilari delle persone coinvolte siano già regolamentate: la madre e il padre che chiedono di praticare la fecondazione artificiale devono palesarsi e non possono sottrarsi ai propri doveri genitoriali mentre colui o colei che ha “prestato” il corredo genetico non ha alcun diritto nei confronti del bambino.
Gli unici diritti lasciati furbescamente nell'ombra finora sono quelli del nascituro, ovvero la possibilità che il bambino sia a conoscenza della sua reale mappa genetica o, nel caso in cui manifesti il desiderio di conoscere i “veri” genitori”, la possibilità o meno di farlo. Non a caso quello lasciato indefinito è forse il nodo più cruciale del dibattito: qualora si fossero date disposizioni anche in merito, il divieto iniziale sarebbe parso a dir poco ridicolo (non che già non lo sia abbastanza).
La baraonda mediatica di questi giorni ha portato nel calderone le polemiche della Chiesa sull'attribuzione del Nobel al padre della fecondazione in vitro Robert Edward e a ruota subito dopo il dubbio di incostituzionalità sollevato dal Tribunale civile di Firenze in merito al divieto della fecondazione eterologa. In sé il dubbio per ora non cambia nulla: ciò che potrebbe fare la differenza è la decisione della Corte Costituzionale che già tempo fa è intervenuta sulla Legge 40 modificandone le direttive in merito al congelamento degli embrioni in sovrannumero, sciogliendo il limite di tre embrione per ogni ciclo di fecondazione e abrogando l'obbligo del loro impianto contemporaneamente. Cambiamenti tra l'altro per nulla superficiali ma che non scardinavano uno dei divieti basilari e di maggior impatto sull'opinione pubblica come quello della possibilità di ricorrere a persone esterne alla coppia per la fecondazione.
Se la Corte Costituzionale dovesse decidere in tal senso e allineare l'Italia al resto degli standard europei ci sarebbe un elenco interminabile di questioni da mettere sul banco che non potrebbero risolversi nelle pagine di una sentenza - con tutto il rispetto per l'organo in questione! Non sarebbe allora meglio pensare alla possibilità della legittimità della fecondazione eterologa e ipotizzare concretamente una sua formalizzazione prima di andare nel panico dalla decisione di un giudice?
Che la fecondazione eterologa debba diventare legittima non devono deciderlo i giudici e non devono deciderlo neppure i politici che sull'argomento si sgretolerebbero tra tentativi di difendere la famiglia tradizionale, l'invocazione della laicità, il riconoscimento delle posizioni della Chiesa, e il relativismo più sfrenato. “Dovrebbero decidere i cittadini in prima persona”, sento dire da molti. Condivisibile. Eppure io ricordo di aver votato in un referendum nel non troppo lontano 2005 - in cui si chiedeva di ridiscutere alcune direttive della Legge 40 - il cui quarto quesito riguardava la possibilità o meno di effettuare la fecondazione eterologa e ricordo anche che è stato uno dei referendum con la frequenza più bassa alle urne (potere dell'astensione e della messa domenicale), quindi non passato!
Il paradosso è che a distanza di pochi anni l'intervento della Corte Costituzionale sulla Legge 40 è stato centrato su alcuni dei quesiti referendari che sono stati modificati nonostante la sovranità popolare si fosse palesemente espressa contro. Adesso si ripropone esattamente lo stesso scenario. Non dovrebbe in qualche modo contare qualcosa il fatto che su tali questioni gli Italiani si siano già espressi?
Solo 5 anni fa si sono detti contrari alla fecondazione eterologa e personalmente dubito che a distanza di così poco tempo ci sia stata questa grande rivoluzione culturale nel nostro Paese da far accettare una tale novità (se c'è stata non me ne sono accorta). Perché a mio avviso il nodo primario come in tutte le cosiddette “questioni morali” è: l'Italia, e gli Italiani soprattutto, sono pronti? Accettano questa possibilità come una cosa naturale? Non sto parlando di un sì plebiscitario ma almeno di una notevole maggioranza. Secondo me non sono pronti e non lo saranno ancora per generazioni. Non che io la consideri una colpa (forse un po' sì) ma credo sia un dato tremendamente evidente. Le soluzioni alle questioni morali non si possono imporre dall'alto perché rischiano di vanificare tutte le buone intenzioni di cui sono armati i suoi sostenitori. Gli italiani sono favorevoli in netta maggioranza alla fecondazione eterologa? Chiediamoglielo di nuovo e vediamo se il vento è cambiato, l'importante è che siano loro a decidere e nessun altro.
Francesca Ottaviano
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