Dove va l’Islanda, va l’Unione Europea?
I fondi pensione islandesi stanno per bloccare una proposta per 2 miliardi di dollari di aiuto economico, essi gestiscono le obbligazioni che costituiscono buona parte del debito del paese e cercheranno di bloccare le proposte per cancellare più di 2 miliardi di dollari che il governo stava considerando di attuare. Un gruppo che rappresenta le famiglie che chiedono aiuto per ripagare i debiti afferma che i creditori dovrebbero cancellare fino a 220 miliardi di corone (1,99 miliardi di $) di mutui immobiliari per aiutare il 39% dei proprietari di case che sono tecnicamente insolventi. Il governo, questa settimana ha detto che potrebbe appoggiare la proposta, dato che sta valutando come rispondere alle proteste che stanno coinvolgendo folle ancora più grandi di quelle che si riunivano nelle settimane precedenti alla caduta del primo ministro Geir H. Haarde nel gennaio 2009. Hrafn Magnusson, direttore esecutivo dell’associazione dei fondi pensione islandese che controlla beni per 16 miliardi di dollari dice: "non appoggiamo le idee del gruppo di interesse dei proprietari di case sulla cancellazione generalizzata dei mutui. L'approvazione di questa misura significherebbe un taglio alle pensioni dei nostri assistiti". - Bloomberg
Tema sociale dominante: ci sono problemi ma in una crisi di questo genere l’Occidente se la caverà comunque, come la piccola, vivace Islanda.
Analisi dalla prospettiva del libero mercato: è importante monitorare la situazione islandese perché l’Unione Europea ed i media mainstream del vecchio continente considerano solo le notizie "ufficiali" provenienti dall’Islanda che sono tuttavia molto diversd da quello che sta succedendo in realtà. Quando gli eventi si distanziano da quello che la UE vorrebbe sentirsi raccontare, il risultato è... il silenzio. Altra balla che ci vogliono far credere gli eruo-burocrati: “guardate, l’Islanda non è diversa da ogni alo paese europeo in crisi. Gli individui stanno reagendo bene. Capiscono che l’austerità è l’unico modo per uscire dalla situazione e che dovranno semplicemente tirare la cinghia per il prossimo secolo, lavorando 18 ore al giorno per ripagare i debiti!”
In effetti, come possiamo vedere dallo stralcio dell’articolo riportato qui sopra, l’Islanda continua a essere una società frammentata. L’Inghilterra guidata da Gordon Brown ha praticamente aggravato la crisi congelando le riserve bancarie islandesi (condannando a morte le più grandi banche dell'isola) ma i cittadini islandesi ora dovrebbero rimettere le cose a posto – andando praticamente in bancarotta. Il punto è che mentre questi trend sono presenti in tutta Europa, i media mainstream sono riluttanti a coprire questa storia. Fino a quando non è stato assolutamente necessario, le proteste di strada non sono state riportate. I problemi erano visti come inevitabili e la soluzione era una sola: l’austerità, nient’altro. L’Islanda era il modello per questo approccio. Nonostante i duri colpi subiti dall’economia islandese e la bancarotta virtuale del paese, gli islandesi erano stati dipinti come un popolo indomito che avrebbe subito senza fiatare le difficoltà imposte dalla soluzione della crisi economica.
I media europei, effettivamente, hanno fatto sapere in una miriade di articoli che, nel momento del bisogno, i solidi islandesi avevano capito che sarebbe stato necessario entrare nell’Unione Europea e che sarebbe stato necessario risolvere il problema del debito del paese in un modo che avrebbe lasciato la comunità bancaria nel suo complesso abbastanza intatta. Anche l’accordo col Fondo Monetario Internazionale va letto in questa direzione. Tutte le strade portano a Bruxelles. Sempre. In ogni caso.
Dal nostro punto di vista, questo tema del “felice islandese” non è altro che una campagna subdola delle elites pensata per rafforzare l’idea che le misure di austerità siano inevitabili. Ora tocca fare buon viso a cattivo gioco, bisogna tirare la cinghia. Ma è proprio vero che il buon popolo islandese si è rassegnato a questo infame destino? È proprio questo quello che sta succedendo? Non proprio. Ecco come, verso la fine di settembre, secondo il “Guardian” (l’unico giornale che sembra seguire la vicenda islandese con un minimo di onestà), gli islandesi stanno gestendo l’attuale situazione:
i politici islandesi sono costretti a fuggire da contestatori arrabbiati, migliaia di persone sono scese nelle strade di Reykjavik quando scoppiò la rabbia per l’impatto della crisi finanziaria, la polizia in assetto anti-sommossa sorveglia il parlamento islandese. I contestatori oggi hanno riempito la capitale, costringendo i parlamentari a scappare. Le violente proteste sono scoppiate in un clima di rabbia crescente mentre le misure di austerità sono imposte in tutta Europa. Le proteste in più di una mezza dozzina di paesi, questa settimana hanno incluso lo sciopero generale in Spagna ed una betoniera fatta schiantare contro i cancelli del parlamento irlandese.
Testimoni oculari hanno confermato che circa 2.000 persone hanno causato confusione all’apertura della sessione del parlamento islandese, con i politici costretti a correre verso l’ingresso secondario del palazzo, visto l’alto numero di manifestanti a quello principale. Si dice che siano state tirate delle uova al primo ministro Jóhanna Sigurðardóttir, altri membri del parlamento, la moglie del presidente islandese, Ólafur Ragnar Grímsson, Árni Pall Árnason, il ministro dell’economia, coinvolto dalla protesta, ha dichiarato: “stiamo vivendo una situazione economica difficile e questo è una reazione prevedibile in una nazione democratica”. Birgitta Jónsdóttir, uno dei tre deputati che si sono uniti ai manifestanti, ha dichiarato “ci stiamo rendendo conto che il FMI avrebbe distrutto la nostra classe media”.
Naturalmente questo è quello che l’FMI si propone di fare. In effetti è quello che l’FMI fa dovunque va – solo che, fino a pochi anni fa, non lo faceva ai paesi occidentali. Ma la crisi economica ha dato all’FMI spazio per agire anche in Europa. Sta cercando di ottenere gli stessi risultati ottenuti in Argentina anche in Grecia, Irlanda ed Islanda. Solo che gli argentini ebbero il buon senso di cacciarli via a pedate. Naturalmente, nel caso dell’Islanda, è un comportamento comprensibile, visto che stanno ancora cercando di cacciare i propri politici. Forse l’FMI è solo il prossimo nome in cima alla lista dei manifestanti.
Questi racconti non sono particolarmente popolari nella stampa, vero? Quando l’Islanda chiese soldi in prestito al FMI, la notizia era dovunque. Quando islandesi furibondi hanno costretto i propri politici alla fuga, la notizia sembra, per così dire, più vaga. Quando il governo socialista islandese ha provato a firmare un accordo che avrebbe imposto debiti ad ogni famiglia islandese per il prossimo secolo, tutti ne parlavano. Poi i media si sono azzittiti. Ed il silenzio è continuato, in gran parte perché i 300.000 residenti in Islanda si stanno semplicemente rifiutando di consentire al proprio governo di ridurli in una sorta di schiavitù finanziaria.
Non pensiamo che l’empasse islandese si risolverà presto. Saremmo sorpresi se le tensioni tra i cittadini, l’inetto governo del paese ed il FMI non salissero ancora. Abbiamo notato come l’entusiasmo sull’ingresso nell’Unione Europea si sia raffreddato molto nelle ultime settimane e la cosa non ci sorprende per niente. Abbiamo ascoltato un’intervista trasmessa su Internet di un importante economista dell’UE (un tedesco che sosteneva la creazione di un’eurozona di serie A ed una di serie B) e la sua posizione, in soldoni, era che, fino a quando la Germania fosse stata disponibile a finanziare la UE, la costruzione istituzionale avrebbe mantenuto la sua integrità regionale. Noi abbiamo sempre sostenuto che il tribalismo che cova sotto la brace europea è molto più forte di quanto le persone possano sospettare.
Le elites tedesche possono voler tenere ancora insieme l’UE (anche se il tedesco medio ne farebbe volentieri a meno) ma il vero test verrà se le proteste in tutta Europa e in Islanda dovessero continuare. Una cosa è ignorarle del tutto ma leggerle volontariamente in maniera sbagliata è tutto un altro paio di maniche. Le proteste sono spinte da un sentimento crescente; che la sempre più pesante Unione Europea è stata costruita sul lavoro della stessa classe media che ora dovrà subire in pieno le conseguenze negative delle misure di austerità che dovrebbero essere più appropriatamente dirette alle elites e alle banche.
Questo è un tema molto più grave della lunghezza della settimana lavorativa o lo stesso ammontare del proprio assegno di pensione. Quello che è iniziato in Europa (vedete le recenti proteste in Francia e Grecia) è sempre più probabilmente uno scontro di classe generalizzato. A meno che la crescita economica europea non riprenda in fretta, le proteste, temiamo, continueranno a crescere d’intensità.
La determinazione a continuare l’esperimento dell’Unione Europea continua a coinvolgere tutto il continente (anche se limitata solo ai legislatori) ma è molto poco profonda. Basta grattare via la patina di europeismo e ci si accorge di come l’Unione Europea sia sempre più impopolare.
D’altro canto, come potrebbe non esserlo?
L’Islanda è una cartina di Tornasole del fenomeno, ma i suoi problemi sono sempre più presenti in ogni paese dell’Unione. Le elites tedesche possono avere interesse a continuare l’esperimento della UE, ma si tratta di un consenso davvero molto fragile.
Conclusioni: a meno che non ci sia una ripresa economica significativa, ci domandiamo se un lieto fine sia davvero possible. Il debito potrebbe essere disconosciuto. Paesi costretti ad uscire dalla UE. L’Euro stesso potrebbe andare in pezzi. Non abbiamo mai previsto che tutto questo sarebbe successo, ma ne abbiamo ammesso la possibilità. Non vediamo ragioni sufficienti per cambiare questa posizione. Ecco un pensiero conclusivo; “dove va l’Islanda, andrà l’Unione Europea”.
Articolo tratto da:
http://www.thedailybell.com/1452/As-Goes-Iceland-so-Goes-the-EU.html
Traduzione: Luca Bocci
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