I punti deboli dell'occidente

Intervista con James Hillman di Silvia Ronchey e Giuseppe Scaraffia

"Oggi non usiamo piu' tutto il nostro corpo quando facciamo un qualsiasi lavoro, anche di tipo meccanico. Cosi' siamo sempre piu' staccati dalla materia, dalla sostanza. La famiglia, il rapporto col corpo, i legami, le diverse connessioni vanno in frantumi."

Articolo tratto da 'Liberal' - n. 33 - dicembre '97

Dottor Hillman, milioni di lettori, in questa un po' abusata fine di millennio, consumano libri che parlano di anima. Ma e' stato lei in questo secolo il pioniere dell'anima: lei ha reintrodotto l'idea di anima, l'ha sostituita all'idea che gli psicanalisti di questo secolo hanno formulato della psiche.

E' vero. In effetti, intorno al 1964 usai questa parola in un libro intitolato Il suicidio e l'anima. Prima di allora l'anima era al cimitero o in chiesa, non era un concetto psicologico. Insegnavamo la psiche, avevamo una biologia, un materialismo della psiche. Dunque, reintroducendo l'anima, veniva anche reintrodotta l'intera tradizione, dai primordi fino alla Grecia romana, utilizzando nuovamente la parola anima.

Lei ha appena pubblicato un libro negli Stati Uniti, un grande successo appena tradotto in Italia, Il codice dell'anima. In questo libro lei ha reintrodotto, accanto alla nozione di anima, quella di demone individuale, una nozione altrettanto antica, che proviene da Platone, da Socrate.

L'idea secondo la quale noi possediamo qualcosa che ci rende unici, diversi, distinti, e' un mito, perche' tutti veniamo al mondo con un richiamo particolare. Un tempo era il daimon socratico: questo e' il termine greco, ripreso poi da Platone, da Plutarco e da Plotino. Quest'ultimo, in particolare, sostiene che e' l'anima a scegliere noi per vivere la sua vita. Dice che e' lei a scegliere i genitori, il luogo, le circostanze e il corpo. Questa analisi da' una prospettiva del tutto diversa alla nostra psicopatologia e alla nostra infanzia. Tutto quanto ci e' accaduto diventa cosi' un valore o una necessita'. Secondo questa idea, nella nostra esistenza accadono cose non volute dai nostri genitori o dalla nostra infanzia: cose che si sviluppano e che hanno un loro scopo. Un 'richiamo', e' questa la parola che ho usato.

E' percio' che in questo libro, analizzando l'infanzia di personaggi come Judy Garland e Coco Chanel, sembra lei abbia totalmente rivoluzionato, capovolto la dottrina freudiana. E' vero?

Si'. La famiglia e' uno dei luoghi dove questo daimon puo' apparire, ma non ne e' la causa. Vede, l'errore nella concezione freudiana sta nell'aver fatto della storia una causalita'. Il problema consiste nel fatto che si combinano storia e causalita'. Per questo, piu' si va indietro nella storia, piu' forte e' la causa che alla fine genera il bambino, che a sua volta e' causa di tutto il resto, della vita e dei genitori. Ma si tratta di una causa formalis, non di una causa efficiens. E' una causa formalmente presente per tutta la vita, non e' una temporale, non e' una storia fatta di bla-bla-bla, perche' il daimon e' sempre attivo nella nostra vita: all'inizio, a meta', alla fine e' sempre la stessa forza.

Lei dice che proprio per questo e' importante riuscire a intuire lo sviluppo della personalita' dei bambini e che una volta gli anziani avevano questo ruolo, di sorvegliare e di sfruttare la personalita' dei bambini. Secondo lei, nella nostra societa' dei consumi, cosi' distratta dall'osservazione dell'individuo, gli anziani possono di nuovo avere questo ruolo?

E' una domanda molto importante, perche' nella nostra societa' gli anziani sono stati privati di questo compito. Ma nella vita dei villaggi e in quella famigliare i piu' anziani sono interessati alle nuove nascite. Credo che in primo luogo essi debbano avere un'idea diversa della loro importanza. Se nel codice spirituale degli anziani non c'e' l'idea che un bambino porta con se' qualcosa, allora gli anziani non cercheranno mai nulla. Per prima cosa dunque occorre reintrodurre questo concetto nella societa', un concetto che deriva dal pensiero tribale. E' una concezione antica, che ci permette di vedere le cose, di osservarle. Ma, se non possediamo questo concetto, non vediamo, non guardiamo, e il bambino semplicemente cresce.

Lei inizia un suo libro fondamentale con una citazione da John Keats: Chiamate vi prego il mondo la valle del fare anima. Allora scoprirete a cosa serve il mondo. E' nell'intestazione del suo Mito dell'analisi.

Keats sostiene che la confusione in cui viviamo ha lo scopo di 'fare anima'. Una volta si diceva: 'forgiare il carattere'. Ma l'idea che siamo al mondo per la salvezza dell'anima, e non che viviamo per trascendere o per risorgere o per essere salvati dal mondo, bene, non e' un concetto cristiano, non e' in termini di salvezza. E' questo il senso ultimo dell'essere immersi, coinvolti nel mondo. E di questo l'anima ha bisogno. Non e' buddista e non e' cristiano, e' puro coinvolgimento, ed e' psicologico. Tutta la confusione in cui ci troviamo - moglie, famiglia, marito, figli, finanze - e' questo il luogo in cui si forma l'anima, non nella trascendenza.

Vorrei aggiungere una cosa: questo vale anche per la politica, dato che la politica non e' senz'anima. 'Oh, quello e' tutto potere e politica!' siamo soliti dire. Ma anche la politica e' sede dell'anima ed e' importante, perche' la psicoanalisi non aveva mai pensato in questi termini, prima. Ora la sinistra, la sinistra italiana e quella freudiana francese, hanno pensato cosi', ma in sostanza il nostro punto di vista implica che sin dall'inizio l'anima sia impegnata nel mondo e la vita politica sia parte della vita psicologica, della vita spirituale.

Lei ha scritto: Quando la visione dominante che tiene assieme un periodo della cultura si incrina la coscienza regredisce in contenitori piu' antichi. Era il Saggio su Pan. Che cosa si e' incrinato nella nostra cultura dominante?

Beh, la famiglia, le mani. Le mani non fanno piu' lavori connessi al mondo materiale, premono solo pulsanti. Oggi non usiamo piu' tutto il nostro corpo quando facciamo un qualsiasi lavoro, anche di tipo meccanico. Cosi' siamo sempre piu' staccati dalla materia, dalla sostanza. La famiglia, il rapporto col corpo, i legami, le diverse connessioni vanno in frantumi. Abbiamo nuove forme di collegamento chiamate networking, ma solo con esseri privi di corpo. Ecco allora le teorie delle perdite, per esempio, la perdita della storia. Non c'e' interesse verso il passato. Molti legami si sono rotti. Negli Stati Uniti, diciamo in un'aula di studenti quindicenni, non si vedra' un solo referente comune a questi ragazzi tranne, forse, Topolino. Loro non sanno chi erano Adamo ed Eva, non conoscono Romeo e Giulietta o Napoleone, non sanno nulla di Cesare... Nessuno, in quell'aula, ha un punto in comune con gli altri, nemmeno sulla Bibbia. Tutti questi erano legami. Quali sono allora i canoni che mantengono unita una cultura? E quando si rompono, quando non esistono piu' immagini comuni, quali sono le immagini che tengono uniti quei canoni?

Questa e' quella che alcuni sociologi chiamano 'nuova ignoranza', una realta' tipica del mondo contemporaneo.

Non so se sia solo mancanza di conoscenza. Il problema e': che cosa sanno e che cosa capiscono? Esiste un desiderio di ritualita', un desiderio di bellezza, di attivita', di musica. C'e' tutta una serie di altre cose, ma cio' che importa e' conservare certi miti, che sono sempre stati presenti nella cultura. Eppure proprio questi sono in pericolo.

Curiosamente alla fine di questo secolo sembra ci sia molta maggiore liberta', ma i giovani sono attratti dalla morte: lo vediamo dalle folli corse, quando escono dalla discoteca: lo vediamo quando prendono la droga, quando cercano di mettersi alla prova in nuovi rituali di iniziazione. Ecco, lei che ha scritto nel 1964 Il suicidio e l'anima, puo' dirci per quale motivo la generazione futura sembra cercare ogni modo per distruggersi?

Queste sono riflessioni che gli anziani fanno sui piu' giovani. Ippolito correva sul suo carro e anche Fetonte, ed entrambi, secondo la mitologia greca, trovarono la morte. Non e' necessariamente un evento contemporaneo il fatto che i giovani corrano in macchina. I giovani hanno sempre amato la velocita', fin dai tempi antichi. Persefone, per esempio, volle scendere agli Inferi. E' la smania dell'avventura, di addentrarsi nel buio, nel mistero, nella citta', nella notte. La droga e' qualcosa di diverso perche' rende tutto rapido e facile. Questa e' l'unica differenza. Ma nella societa' in cui viviamo, dov'e' la morte? Inoltre la morte o il desiderio di morte e' nei giovani oppure nei politici che governano il mondo? Dov'e' il desiderio della morte? Non credo risieda nei giovani. Se cerchiamo la morte nella nostra societa', e' sbagliato vederla nei giovani. Dobbiamo cercarla negli anziani e nel controllo che hanno su tutto; e' il lato saturnino della vecchia generazione: la mia generazione!

In effetti lei ha scritto: Qualsiasi atto che tiene a distanza la morte ostacola la vita. Quindi forse la ricerca, la vicinanza con la morte e' un atto vitale nei ragazzi e al contrario questo prendere le distanze e' un atto che lei chiama saturnino nella generazione adulta? Ma come si manifesta?

Si manifesta nell'ossessione per le assicurazioni. Gli Stati Uniti sono nella morsa delle compagnie assicuratrici e delle case farmaceutiche. Grandi cartelli ci raccomandano di prendere pastiglie e di sottoscrivere assicurazioni per proteggerci dalla morte. Io credo che in Europa sia diverso. Specialmente in Italia c'e' una lunghissima tradizione - in particolare nei piccoli centri - di funerali, di rapporto stretto con la morte, con le chiese e cosi' via. Negli Stati Uniti, invece, ossia il Paese che piu' influenza il nostro modo di pensare, che condiziona tutta la societa' occidentale, e in pratica il mondo intero, si e' convinti che assicurarsi elimini qualsiasi possibilita' di incidenti e solo perche' c'e' lei, l'Assicurazione. Ma cosi' facendo, e' la vita che teniamo a distanza. Non piu' rischi, ne' avventura, niente pericoli, ne' eccitazione. Qual e' allora la via d'uscita se non, forse, la droga o schiantarsi con l'auto? Quello che voglio dire e' che abbiamo messo la morte proprio in questi sistemi di protezione, perche' non siamo piu' avvezzi ai rischi della vita. E cosi' siamo turbati dai terroristi, che invece hanno familiarita' con la morte.

Vuol dire che il vero potere del terrorismo deriva proprio dal contrasto con il nostro ossessivo bisogno di sicurezza?

Esattamente. E' in contrasto col nostro sistema di autodifesa. La persona che rappresenta oggi la minaccia piu' grave non va cercata nelle forze armate, ma sostituita con l'immagine di un uomo che fa saltare in aria un aereo, un palazzo: il terrorista. Il terrorista vive fianco a fianco con la morte, e in una societa' che ha escluso la morte e il rischio della morte, lui e' quello che ha l'arma segreta. Che non e' la bomba, bensi' la volonta' di vivere a stretto contatto con la morte. Abbiamo visto di recente a Mogadiscio un soldato americano trascinato per strada, non so se ricordate l'immagine alla televisione. Quella sola immagine di un soldato forse torturato o ferito, fu sufficiente perche' il governo americano rivedesse la propria politica. Eppure quell'uomo era un soldato, era un militare, per giunta volontario. Se entri nell'esercito, sai che puoi morire, sai che la morte e' insita nell'essere un militare. Non era un soldato di leva, ma un volontario. Oggi neppure nell'ambiente militare riusciamo piu' a immaginare la morte. E una societa' che non ha piu' un simile legame e' destinata a morire.

Quindi in un certo senso il terrorismo ha sostituito quella che negli anni Cinquanta e Sessanta era l'essenza dell'ossessione della bomba, del nucleare?

C'e' un sottofondo di morte, nella societa', che e' percepito in termini di catastrofe ecologica, e anche in termini di Aids, di Ebola, di catastrofe epidemiologica. Ora, e' giusto che la societa' cerchi di contenere la morte, le malattie e cosi' via. Tutti dobbiamo cercare di vivere. Ma il terrorista e' divenuto una figura mitica del nostro tempo. Ed e' questo il problema interessante a livello psicologico. Noi vorremmo far saltare l'intero sistema. Il terrorista vero fa saltare in aria gli edifici pubblici. Ecco l'aspetto interessante. Perche' il terrorista non fa saltare il grande magazzino ma attacca il governo, lo Stato, lo strumento della sicurezza, il simbolo dell'ordine: il sistema. Dobbiamo riflettere su questo, su come cambiare questa metafora in modo da 'far saltare in aria il sistema', ma solo psicologicamente.