«Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”» (22,22 Vangelo secondo Matteo, episodio riportato anche in Marco e in Luca).
Questo episodio dei Vangeli è comunemente considerato alla base della dottrina della Chiesa in materia di rapporti con il potere politico e fondamento dell’idea della divisione fra Chiesa e Stato. Molti ci aggiungono, erroneamente, la considerazione che il buon cristiano deve rispettare le leggi. Vedremo che quest’ultima idea non è propriamente esatta, alla faccia di tanti benpensanti odierni. Qualunque cosa si possa pensare di Gesù, non si può certo dire che fosse uno stupido, e anche per sano pragmatismo non sfidava l’Impero Romano condannando i primi cristiani alla morte e visto che a distanza di 2000 anni la Chiesa esiste e l’Impero Romano no, si può ben dire che ha avuto ragione.
Proviamo a soffermarci su questo passo. Dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. C’è la parte di Dio e la parte di Cesare, ma la parte Dio non può essere data a Cesare. C’è un limite invalicabile che il potere politico non può oltrepassare. Gesù non ha solo detto che Stato e Chiesa devono essere divisi, ma anche che il potere politico non può prendersi la parte di Dio, che poi tradotto in termini profani è la parte dell’uomo e delle sue libertà, dato che l’uomo è a immagine di Dio. E parliamo genericamente di potere politico e non di Stato perché comunque l’autorità politica romana non è certo paragonabile ai moderni stati nazionali.
Un altro aspetto importante da chiarire della dottrina cristiana è che non affatto vero che il buon cristiano deve sottomettersi a qualunque legge. Vi riporto il passo degli Atti degli Apostoli (5,9) che è piuttosto esplicito: «Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini». In base a questo principio i primi cristiani si rifiutavano di prestare servizio militare per l’Impero Romano andando incontro al martirio. Nel Medioevo questo principio si completò nel cosiddetto diritto di resistenza ovvero nel diritto della persona a resistere al potere illegittimo. Questo aiuta anche a capire anche qual’era il potere di scomunica del Papa. In sé può sembrare un atto incapace di produrre effetti, ma in realtà autorizzava chiunque a compiere qualsiasi atto contro lo scomunicato, sapendo di non compiere peccato. San Tommaso afferma: «Chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio». Il diritto di resistenza, come evidente, è cosa ben diversa da una generica sottomissione del buon cristiano alle leggi degli uomini e attualmente si manifesta nei vari aspetti dell’obiezione di coscienza.
In sintesi il cristianesimo ci dice che lo Stato non può invadere la sfera di Dio, ovvero non deve superare i limiti delle libertà individuali ed inoltre che ogni uomo ha il diritto di resistere a quelle leggi che giudica contro Dio. Senza voler fare polemica spicciola, ma quando qualche politico ha affermato che le tasse oltre un certo limite erano ingiuste e l’evasione in qualche modo giustificata non stava forse invocando il giustissimo diritto di resistenza? Purtroppo la Chiesa stessa è vittima del politicamente corretto. Non si incomincia a ricordare qualcosa?
«Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti»(Vangelo secondo Matteo 25, 14-30).
La parabola dei talenti è interessante sotto molti punti di vista. Credo sia piuttosto evidente che il padrone della parabola è Dio. La prima cosa da mettere in evidenza è l’ineguale distribuzione dei talenti, ovvero l’affermazione in forma poetica che nasciamo diversi e ciò già costituisce un primo affondo a tutte quelle teorie egualitariste. Poi si aggiunge che ognuno deve coltivare i propri talenti e otterrà i risultati proporzionalmente a ciò cha ha ricevuto. Chi non coltiva i propri talenti non riceverà nulla, anzi gli verrà tolto anche quelli che ha. Ulteriore affondo alle teorie egualitariste. Siamo diversi alla nascita, e in base al nostro impegno otteniamo risultati diversi nella vita. Viene punito chi non fa niente, chi ha un talento e non lo mette a frutto. È un chiaro elogio della laboriosità e una condanna della pigrizia. Meritocrazia? Non sembrano quelle tante vituperate virtù capitaliste? Ma ancora, non solo lo sviluppo del proprio talento, ma anche l’incoraggiamento all’intraprendere. Il servo che seppellisce il talento non solo non mette a frutto ma è un pavido: sotterra quell’unico talento per non perderlo. Un elogio al coraggio di intraprendere.
«Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più"»(Vangelo secondo Giovanni 8, 1-11).
Una prima precisazione: perché si parla di adultera e non di adultero? All’epoca la situazione della donna non era molto dissimile di quella che troviamo oggi in Iran. L’adulterio maschile era tranquillamente tollerato, mentre per quello femminile c’era addirittura la lapidazione. L’azione di Gesù è come sempre pregna di significati. In primis una condanna della giustizia sommaria, poi un’attenzione alla condizione della donna. A volte si accusa il cristianesimo di maschilismo e non ci si rende conto di come fosse la situazione prima dell’avvento di Cristo. In questo episodio c’è chiaramente attenzione alle donne e il tentativo di dare loro pari dignità. Non si tratta semplicemente di non giudicare e di guardare ai propri peccati prima di guardare quelli degli altri come comunemente si riassume la parabola dell’adultera. Il concetto si poteva spiegare in altro modo, mentre scegliendo la storia dell’adultera il Vangelo sembra volersi soffermare sulla condizione della donna.
Ma riflettiamo ancora. Una donna tradisce un marito e viene lapidata dagli abitanti del villaggio. Una colpa privata diventa un reato, come se si trattasse di un ladro o un assassino. In fondo le corna danneggiano il cornuto, ma la comunità non ne subisce un detrimento come può essere per il furto o l’omicidio. Naturalmente Gesù invita a non peccare, ma sembra quasi introdurre il concetto moderno della distinzione fra reato e peccato. Il reato è sancito dalla legge ed è un qualcosa che danneggia la comunità, mentre i peccati che non sono reato costituiscono un comportamento individuale, deprecabile, ma che non danneggia gli altri. Se consideriamo che fino a 30 anni fa in Italia c’era ancora il delitto d’onore... E poi dicono che la Chiesa è arretrata... qualunque cosa vogliono dire. Tra le altre cose, nei Vangeli, si evidenzia quelle che all’epoca erano considerate cattive compagnie di Gesù. Molte donne seguivano Gesù e ciò era considerato scandaloso all’epoca; frequentava tutti, i pubblicani, ovvero gli esattori delle tasse per gli occupanti romani, donne di malaffare e i suoi stessi nemici, i farisei. Ciò per portare la parola di Dio a chi ne aveva più di bisogno, però tutto questo insieme sembra dare un immagine di tolleranza per i comportamenti individuali. Riassumendo, il nostro Buon Falegname introduce una sorta di parità fra uomo e donna e prefigura il concetto della distinzione fra reato e peccato.
Naturalmente qui non si vuole affermare che il liberalismo sia sovrapponibile al cristianesimo, o che il liberalismo è derivato dal cristianesimo. Ben altri autori hanno discusso i rapporti fra liberalismo e cristianesimo e d’altro canto prima di intraprendere una simile disanima sarebbe necessario definire cosa si intende per liberalismo. Noi ci limitiamo ad evidenziare come nei Vangeli siano presenti alcune idee forti quali i limiti del potere statale, l’antiegualitarismo, il valore dell’intraprendenza, la parità fra uomo e donna. D’altro canto la tesi weberiana di un’origine protestante del capitalismo è ormai messa in discussione da teorie che invece la ritrovano nel pensiero cattolico, in particolare nella scolastica ed in alcuni pensatori francescani. Che Gesù fosse un po’ borghese? Dopotutto non era un artigiano?
«Ingiustizia e violenza degli stati e dei briganti. 4. Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l'aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell'ambizione di possedere ma da una maggiore sicurezza nell'impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: "La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta”» Sant’Agostino, La Città di Dio, libro 4°
Vito Foschi