Iran, la teoria del "regime change"

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<p>“L’ultima offerta europea all’Iran è stata una serie di incentivi economici ed una centrale ad acqua leggera in cambio della rinuncia iraniana al nucleare utilizzabile per scopi bellici. La risposta di Ahmadinejad è stata una bella pernacchia, neppure tanto velata.
Daniel Pipes, sul New York Sun del 9 maggio, ha sintetizzato le opzioni possibili per l’Occidente: arrendersi alla volontà iraniana, affidandosi alla buona sorte, prendere in considerazione l’idea di un attacco alle centrali del paese, oppure la terza ipotesi, quella che noi sosteniamo: la così detta ipotesi del 'regime change”…

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La questione iraniana è sempre più scottante. L'ultima trovata di Ahmadinejad è stata la lettera spedita al Presidente Bush. Per non dare nessuna legittimità ad un presidente e ad un regime con il quale gli americani non intrattengono (ufficialmente) nessun rapporto diplomatico, la Casa Bianca non ha dato nessuna importanza alla missiva, infarcita della solita propaganda. Ora, i fini 'ideologici' del presidente iraniano (distruzione di Israele ad esempio) saranno folli ma le sue azioni sono invece razionali. Ahmadinejad cerca di passare per colui che accetta e propone il 'dialogo', che vuole una soluzione diplomatica lasciando cadere sugli altri, in primis agli Usa, l'onere di soluzioni che prevedano l'uso della forza o la minaccia di 'gravi conseguenze'. Come dicono nel loro blog i gemelli 2Twins (http://2twins.splinder.com): 'probabilmente le minacce americane (dissuasione) hanno avuto il loro effetto nell'alterare i payoffs (teoria dei giochi) dell'Iran e quindi il suo comportamento.'

Negli ultimi giorni si parla di una missiva di Ahmadinejad a Papa Benedetto XVI. Ancora una volta Teheran si muove razionalmente rispetto ai propri fini. In sostanza, cerca di prendere tempo mostrandosi un tempo favorevole e aperto ad una soluzione diplomatica e subito dopo ribadendo l'impossibilità di fermare lo sviluppo del programma nucleare iraniano. In sostanza è cio che l'Iran ha fatto per gli ultimi tre anni con l' UE-3, ovvero i negoziatori europei di Francia, Germania e Gran Bretagna, lasciandoli oggi, nel 2006, con un pugno di mosche in mano.
L'ultima offerta europea è stata una serie di incentivi economici e una centrale ad acqua leggera in cambio della rinuncia iraniana al nucleare utilizzabile per scopi bellici. La risposta di Ahmadinejad è stata una bella pernacchia, neppure tanto velata.

Daniel Pipes, sul New York Sun del 9 maggio, ha sintetizzato le opzioni possibili per l'Occidente: arrendersi alla volontà iraniana, affidandosi alla buona sorte ed allo stesso effetto di deterrenza che l'arma nucleare a garantito durante tutti gli anni della Guerra Fredda; prendere in considerazione l'idea di un attacco alle centrali del paese, con lo scopo di rallentare gli sviluppi (dato che un'azione rivolta ad eliminare il problema una volta per tutte, stile Osirak, si tradurrebbe in una vera e propria 'guerra dal cielo') del programma e mettere in pericolo la tenuta del regime, aprendo la possibilità di un cambio di regime.
Le conseguenze della prima opzione sono collegate ai rischi per l'Occidente derivanti da un regime nucleare aggressivo. La seconda opzione avrebbe delle ricadute sia sul sentimento dell'intera opinione pubblica musulmana, sia sul mercato petrolifero. Inoltre potrebbe portare molti cittadini iraniani ad appoggiare il regime sentendosi aggrediti. Secondo Pipes esiste una terza opzione '...che riesca a dissuadere il regime iraniano dal condurre un programma volto a sviluppare e a militarizzare le sue capacità atomiche.'
In sostanza Pipes sostiene la tesi dell'appoggio internazionale agli oppositori al regime e a quella parte dell'oligarchia al potere che guarda con preoccupazione alle conseguenze di un'escalation nucleare. La tesi, insomma, del 'regime change' senza uso della forza militare ma grazie alla forza della pressione esterna che la comunità internazionale dovrebbe attuare.
Questa opzione implica, dice Pipes, due condizioni: soprattutto coloro che si oppongono all' uso della forza militare devono stringersi sempre più a Washington; convincere il regime di Teheran delle 'gravi conseguenze' a cui incorrerà se deciderà di proseguire il programma nucleare.

Noi avevamo già sostenuto questa tesi: se la comunità internazionale vuole risolvere la questione diplomaticamente deve, per assurdo, proprio avanzare una seria minaccia di uso della forza. Essendo gli Stati Uniti la sola potenza militare capace di rappresentare questa minaccia, si capisce perchè sia necessaria la compattezza intorno alla Casa Bianca.
Se l'oligarchia iraniana percepirà il rischio reale di perdita del potere potrebbe scegliere l'opzione di rinunciare al nucleare per rimanere in sella. Vale l'equazione minaccia reale dell'uso forza militare = migliori possibilità di risolvere il problema senza l'uso effettivo di quest'ultime.
Anche per il regime (che è lo Stato legale) vale quanto vale per lo Stato nell' arena internazionale, cioè il principio dell'autoconservazione. Il risvolto negativo del successo di tale strategia sarebbe la percezione della società iraniana sulla situazione interna. Ovvero l'Occidente contaccambia la propria sicurezza alla perpetuazione del regime, quindi alla mancata democrazia iraniana.


Sappiamo che per troppo tempo i popoli del Medio Oriente sono stati immolati per la stabilità internazionale. Il nostro discorso non è 'umanitario'. Il problema è che questo comportamento lo paghiamo in termini di sicurezza adesso e non vorremo che avvenisse così anche per l' Iran (non è quello che è accaduto nel 1979 con la rivoluzione khomeinista?). Per questo motivo non siamo d'accordo con la proposta avanzata da Kissinger e riportata dai 2Twins (http://2twins.splinder.com/post/8077427/Semplicemente+Henry) , quella di '...creare un'arena di dialogo che abbia un solo obiettivo: fermare la corsa nucleare dell' Iran. Essa si deve basare su un sistema di incentivi e disincentivi che suggerisca all'Iran di adeguarsi alle richieste avanzate dagli Stati Uniti. In cambio, ovviamente, gli Usa garantirebbero di astenersi da qualunque tentativo di destabilizzazione o di regime change. Una volta bloccata questa corsa, e quindi messo in piedi un intelligente sistema di containment, basterà attendere: proprio come l' Urss, l' Iran, non potendo più agitare lo spauracchio della minaccia esterna, farà sempre più fatica a giustificare il suo corrotto sistema politico, economico e sociale.' Ma per la caduta dell' Urss non fu anche determinante la sfida alla corsa nucleare lanciata da Reagan e la sua accusa diretta al regime come inferiore moralmente al sistema democratico occidentale Ricordiamoci che i popoli dell'est Europa vedono proprio Reagan come un idolo deteminante per il ritorno della libertà.

Da Semplicemnte Liberale un approfondita analisi http://www.bloggers.it/semplicementeliberale/

J.Landi