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Kebab e libertà

 

L'invadenza del potere politico nella vita di tutti i giorni ha raggiunto in Italia livelli imbarazzanti. La preoccupazione riguardo al "disastroso ritorno dello stato nell'economia italiana", prendendo in prestito le parole della copertina di "Rapaci" di Sergio Rizzo, è comprensibile e fa gridare allo scandalo.
Noi, panda libertari, è un pezzo che suoniamo il de profundis al mercato italiano, assediato da più parti e sempre più incapace di stimolare le persone ad intraprendere proprie inziative commerciali.

 

Prendiamo, come ultimo esempio in ordine di tempo, qualcosa che riguarda la mia città, ovvero l'ordinanza presto ribattezzata "anti Kebab", che proibirebbe - di fatto - l'esercizio di certe attività commerciali che, specifica la nota del Comune di Prato, sono "incompatibili con l’esigenza di tutelare le tradizionali caratteristiche culturali ed ambientali della zona".
Tralasciando l'aspetto giuridico, per cui tale dictat sarebbe facilmente attaccabile, ci concentriamo sull'aspetto delle idee che derivano dal buon senso e non delle ideologie il cui tanfo sembra essere fin troppo presente in questo provvedimento.

Diciamoci la verità: come ha scritto recentemente Carlo Stagnaro, per investire in questo paese bisogna essere matti. Partendo da questo assunto, un immigrato onesto e di buonafede che lascia il proprio paese, arriva da noi e tra mille sacrifici (economici ma anche di discriminazione), apre un'attività, è matto doppiamente. Primo perchè da un paese in sottosviluppo ma con probabili potenziali di crescita (da cui proviene) sceglie come meta dei propri sogni un paese - come dice il sempre ottimo Leonardo Facco - in via di sottosviluppo. Bisogna essere davvero matti, con tutti i paesi che ci sono al mondo, a lasciare tutto e venire qui.

Ora, mettiamo però che l'imprenditore straniero sia talmente matto e determinato da aprire la propria rosticceria qui da noi, nella provincia denuclearizzata, magari proprio a Prato. Il valoroso dovrà comprarsi o affittare un fondo, e dopo una estenuante lotta con la burocrazia, inaugurare la propria attività. Il sogno sembra essersi realizzato, starà adesso al mercato (e alla bravura dell'imprenditore) decretare il fallimento o meno dell'attività. Il kebab chiuderà se non avrà clienti o se farà il kebab poco buono, ce la farà se al contrario i clienti decreteranno il successo dei suoi panini. Così succederebbe in un mercato normale e in un paese normale. Ma non da noi, no signori. Da noi la variabile che farà pendere quell'inziativa imprenditoriale verso il successo o verso il fallimento non sarà, come naturale, lo stare o meno sul mercato, ma una legiferazione assurda ed invasiva delle libertà fondamentali dell'uomo.

Caro sindaco di Prato, capisco la sua volontà di dare una bella ripulita al centro cittadino e fare una bella figura ma non è con i provvedimenti di questo genere che si imbocca la strada giusta. Come recitava il motto erroneamente attribuito a Thomas Jefferson "The best government is that which governs least" (Il governo migliore è quello che governa meno"), se ne ricordi durante la sua ricerca del consenso. Pensi alla difesa dei suoi cittadini, pensi alla legalità, pensi alla tutela delle libertà di ognuno di noi ma non metta freni assurdi ad un'economia già agonizzante che ha bisogno di tutto tranne che di ulteriori regole e di bastoni fra le ruote messi dalla politica.
Per giustificare certe assurdità molti dicono che la nuova primavera dell'interventismo pubblico è una sorta di rinato patriottismo: le istituzioni ci sono e ci dicono cosa è giusto e cosa è sbagliato, chi deve stare lì e chi invece non ci può stare.

Ma quella di proibire l'apertura di onesti esercizi commerciali e addirittura la velleità di spostarli dove piace alle istituzioni altro non è che aggressione contro la proprietà privata e le libertà individuali. Citando Benjamin Tucker: "L'essenza del governo è il controllo o il tentativo di controllare. Colui che tenta di controllare un altro è un governante, un aggressore, un invasore; e la natura di tale invasione non cambia che sia fatta da un uomo su un altro uomo, come nel caso del criminale comune, da un uomo su tutti gli altri uomini, come nel caso del monarca assoluto, o da tutti gli altri uomini su un uomo, come nel caso della democrazia moderna".
Arriviamo ai consigli. Quello che ci sentiamo di dare alle istituzioni è il solito di sempre: meno entrano nelle nostre vite meglio è per tutti. Se garantiranno la sicurezza, la libertà e il rispetto per le regole che già ci sono (pure troppe) non ci sarà bisogno di altri assurdi divieti.

La nostra soluzione è invece citata da Murray Rothbard nel celebre "L'etica della libertà", nell'esempio di McDonald's a New York: "Nella città di New York (...) si sono prodotte pressioni da parte dei residenti di taluni quartieri per impedire che nelle loro vicinanze venissero aperti dei McDonald's e, in molti casi, i residenti hanno potuto far uso dei poteri dell'amministrazione locale per impedire tali aperture. Naturalmente si tratta di violazioni del diritto di McDonald's alla proprietà che ha acquistato. Ma gli abitanti del quartiere hanno qualche ragione: la sporcizia e l'arrivo di elementi "indesiderabili" che verrebbero "attratti" dal McDonald's e vi si raccoglierebbero davanti - cioè, sulla strada. In breve, quello di cui si lamentano realmente gli abitanti del quartiere non è tanto l'esercizio del diritto di proprietà di McDonald's, quanto ciò che essi considerano il "cattivo" uso delle strade statali. In sintesi essi si lamentano del "diritto umano" di certe persone di passeggiare a volontà sulle strade di proprietà  dello Stato. Ma, essendo contribuenti e cittadini, questi "indesiderabili" hanno certamente il diritto di passeggiare sulle strade, e naturalemtenessi potrebbero riunirsi sul posto, se lo volessero, anche senza l'attrazione rappresentata da McDonald's. Nella società libertaria, tuttavia, nella quale le strade sarebbero tutte di proprietà privata, l'intero conflitto potrebbe essere risolto senza violare i diritti di porprieta: in questo caso, infatti, i proprietari delle strade avrebbero il diritto di decidere a chi debba essere permesso l'accesso, e in tal modo essi potrebbero, se lo volessero, tenere lontani gli indesiderabili".

Dal limpido ragionamento di Rothbard risulta lampante che alla base vi sia la questione immigrazione-contribuenti-cittadini. Se certe attività portano "una certa" clientela non è colpa del mercato (e quindi non si debbono spostare o chiudere gli esercizi) ma è - ancora una volta - colpa della politica che non ha saputo garantire ai propri cittadini la sicurezza di una comunità priva da rischi derivanti la coesistenza con clandestini o individui potenzialmente pericolosi.
Chiude il capitolo Rothbard:  "La società libertaria risolverebbe l'intera "questione dell'immigrazione" per il tramite dei diritti naturali di proprietà. Le persone hanno il diritto di trasferirsi soltanto in quelle proprietà e in quei terreni che i proprietari desiderano vendere o affittare". Senza l'ingerenza di alcuno, tantomento dello stato.

D.M.