L'architettura come presagio della fine. Una teoria possibile?

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<p>Puo uno stile architettonico rispecchiare a tal punto le tensioni spirituali di un'epoca e l'ideologia dei suoi capi, da far intravedere nel suo dna l'annuncio stesso della fine imminente della società di cui è espressione?
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C'è una caratteristica che spesso accomuna la gran parte dei regimi totalitari della storia: la mania di grandezza dei loro capi che arrivati ad un certo grado di potenza, inebriati dal potere, si ritengono di solito pressochè invincibili e, in un certo qual senso, eletti da Dio o da un preciso piano del destino; un po' come accadeva per i grandi sovrani dell'antichità.
L'ossessione della grandezza e la certezza granitica che il loro regno/regime fosse destinato a durare in eterno in potenza e maestà, li ha portati spesso in passato ad immaginare edifici che avessero potuto incarnare la propria volontà di potenza, e attraverso la loro magnificenza e il loro sfarzo, il primato assoluto di un'ideologia.

Ma un primato presuppone l'inferiorità, spesso presunta, di tutti gli altri modelli di nazione e di società contemporanei. All'interno di tali progetti non è possibile quindi disgiungere la componente di arroganza autoritaria a quella di visionaria megalomania.
A volte scattano meccanismi tali che non si è soddisfatti di superare le realtà contemporanee al regime, ma si mira a costruire qualcosa che riesca a far impallidire anche le opere di quei grandi imperi del passato a cui sovente i regimi si sono ispirati.
L'esempio recente dei grandiosi palazzi di Saddam Hussein, che stridono fortemente con la miseria del popolo iracheno, ci fa riflettere ma non c'insegna niente di nuovo rispetto a cio che già abbiamo incontrato durante la storia, in particolar modo col nazionalsocialismo.

A livello strutturale i palazzi presidenziali iracheni erano (e sono tutt'ora) otto complessi governativi che per l'Iraq rappresentano un po l'equivalente di Camp David per gli Usa o di San Rossore per l'Italia: coprono una superficie di 31,5 chilometri quadrati su cui sorgono 1.058 edifici, In molti casi vi è addirittura un lago artificiale con isolotti decorativi localizzati in modo da offrire accesso al lago da ogni edificio del complesso.
Secondo quanto documentato dalla commissione di cartografi che nel 1998 fu incaricata di tracciarne una mappa per conto dell'Onu, solo una delle strutture in realtà è un palazzo vero e proprio: il palazzo Presidenziale Repubblicano nel centro di Baghdad che misura ben 33 mila metri quadri e ha vasti saloni adatti a ricevere grandi folle.
Gli edifici principali degli altri complessi sono grandi ville che il governo iracheno adibiva a foresteria per capi di stato e dignitari in visita.

Il paragone che ci viene in mente, guardando le immagini e leggendo le caratteristiche di questi edifici, è tra la Baghdad dell'ex regime di Saddam e la Berlino millenaria che Albert Speer aveva in progetto di consegnare a Hitler per il 1950, dopo undici anni di lavori.
Nelle sue memorie dopo la scarcerazione Speer scriveva: '…mi ero allontanato da quello che consideravo il mio vero, autentico stile. Questo distacco si manifestava non soltanto nell'enormità dei miei edifici di carattere rappresentativo, ma anche nella loro fastosità.
Non c'era più traccia, in essi, di quel carattere dorico che era, in origine, il carattere della mia arte: erano diventati vera e propria ‘arte decadente'.
L'abbondanza di denaro e di mezzi di cui disponevo, e con essa la prepotenza dell'ideologia nazista, mi avevano trascinato progressivamente verso uno stile che si riallacciava piuttosto alle sfarzose architetture dei despoti orientali.'
Come non pensare, leggendo queste parole, a quello che fu il regime dittatoriale iracheno?

Le forme dell'arte e dell'architettura sono, in definitiva, costrutti intellettuali e razionali.
Non sono varianti del linguaggio e di un'ideologia, ma ad essa, sono riconducibile perchè hanno un analogo funzionamento.
E' una teoria tipica del simbolismo e ci insegna che una volta arrivati al limite (delle forme, degli stili) è facile oltrepassarlo: le forme 'decadono' e tutto sembra di nuovo pronto per un altro ciclo vitale che ripartirà da una fase arcaica, per poi proseguire con una fase classica e per concludersi, di nuovo, inevitabilmente (nel caso dei regimi, tragicamente) nello stile 'tardo-impero', nel barocco-decadente, che sembra preannunciare, nella sua stessa struttura, una qualche fine imminente.

Continua Speer: '…avrei potuto dire che, proprio come nel tardo impero, anche nei miei progetti urbanistici si preannunciava la fine di un regime; che, in un certo modo, la caduta di Hitler si preannunciava confusamente in essi.
Tutto questo, pero, io non lo intuivo ancora, a quell'epoca.
Come l'entourage di Napoleone dovette vedere nei saloni sovraccarichi del tardo impero nient'altro che l'espressione della grandezza, e soltanto i posteri furono in grado di scoprirvi il presentimento della caduta dell'imperatore, così l'entourage di Hitler accettava la Grande Cupola (l'auditorio alto 290 metri e dalla capienza di 180.000 persone. n.d.r.) come espressione della sua potenza.'
I progetti di Speer seguivano quella che Hitler stesso chiamava "La legge delle rovine", un concetto derivato dall'osservazione dei ruderi dell'antica Roma: i grandi edifici dovevano essere costruiti in modo tale che mille anni dopo, dalle sole rovine, i posteri capissero la grandezza della società che li aveva edificati.
Alcuni mesi dopo la stesura di questi progetti e l'inizio dei lavori inizio la seconda guerra mondiale.