Psicopatologia dell'antiamericanismo
Claudio Risè, Professore di Polemologia (psicologia della guerra) all’Università di Trieste, scrive questo bell’editoriale sulle ragioni profonde che animano l’odio contro gli Stati Uniti.
Lo pubblichiamo con la gentile concessione dell’autore.
<p>“Cio che gli europei non perdonano all’America di George W. Bush è, insomma, di essere un potere che non nasconde la propria forza, anzi la assume come una responsabilità da esercitare verso il resto del mondo. Come una vocazione. Questa vocazione a garantire la maggior sicurezza internazionale possibile, gli avversari europei la chiamano: arroganza. Ed anche, non solo a sinistra, imperialismo.”<p>Perchè l’Europa odia gli Stati Uniti? E soprattutto: si tratta di un
'normale' conflitto tra Grandi Potenze, questioni di interesse e
zone di influenza, o c’è qualcosa di più sottile e nascosto, di
inconscio agli stessi attori in campo, che ne vengono, quindi, agiti, più
che agire il conflitto razionalmente? So bene che a molti queste domande danno
un gran fastidio, e preferiscono coprirle con risposte rassicuranti. Tipo: in
realtà quest’odio appartiene solo ad un’esigua minoranza, la grande maggioranza
degli europei è invece amica e solidale con gli Stati Uniti, e così
via. Per non parlare poi del vecchio pregiudizio, che dava tanto fastidio anche
al solido Clausewitz, secondo il quale la politica sarebbe tutta conscia, e
tutta razionale. Nascondere la testa sotto la sabbia, tuttavia, non serve a
nulla, se non a perdere tempo ed a lasciare che la situazione peggiori. Le prime
tornate elettorali europee effettuate dopo la guerra angloamericana contro l’Iraq,
ad esempio, le amministrative in Spagna ed Italia, hanno puntualmente confermato,
tra l’altro, che ampi settori di popolazione erano ostili a quella guerra, conclusa
con la vittoria degli Usa, e hanno profittato del voto per punire i partiti
filoamericani.
Ancora più significativi sono pero i segni che vengono da Internet,
uno strumento per certi versi molto più versatile rispetto ai media tradizionali,
e pronto a cogliere i cambiamenti in atto nel conscio e nell’inconscio collettivo.
Internet ha visto, dall’11 settembre in poi, un netto riallineamento di posizioni
in una galassia di centri di aggregazione, anche piuttosto interessanti e seguiti,
di destra e sinistra non strettamente parlamentari. Il collante di questa nuova
alleanza, che manda continui segni di espansione e rafforzamento, è un
acceso antiamericanismo, che si salda con una posizione antisionista, con tratti
di vero e proprio antisemitismo. </p>
Il delirio sul Grande Persecutore del mondo
Lo stile di queste comunicazioni, spesso travestite da informazioni, è
quello della propaganda più accesa, nella quale viene chiaramente indicato
un Grande Persecutore, identificato in una sorta di mostro bifronte, Stati Uniti/
Stato di Israele, colpevoli sempre e comunque di ogni episodio riferito. La
condanna nei confronti dei gruppi terroristici, o degli Stati che li ospitano
o appoggiano, manca totalmente.
Il fatto che manchi una fonte unitaria di questo fiume di comunicazioni, proveniente
invece dalle origini più svariate, toglie pero loro il carattere
più direttamente riferibile alla propaganda politica, lanciata contro
il nemico da un avversario più o meno identificabile (così erano
ad esempio le comunicazioni su ognuno dei due blocchi avversari durante la guerra
fredda), per connotarle più precisamente come una produzione paranoide
di massa.
A differenza della propaganda politica, che ha sempre l'obiettivo razionale
del diffondere e rafforzare il proprio punto di vista, la produzione intellettuale
di una posizione collettiva paranoide ha come scopo autosufficiente l'espressione
del proprio delirio, indipendentemente da effetti pratici. Le manifestazioni
e gli slogan delle marce per la pace prima e durante la guerra contro Iraq,
col loro confondere Iraq con Vietnam, Hitler con Bush, attacco imperialistico
e difesa democratica, perdite umane e prospettive apocalittiche, sono state
un buon esempio, meritevole di uno studio più approfondito, di produzione
delirante, travestita (molto sommariamente del resto), da analisi politica.
La dipendenza europea nello stile di vita
Questi elementi, già ci forniscono alcune indicazioni sulle caratteristiche
psicologiche dell'attuale antiamericanismo europeo.
Innanzi tutto cio che è avversato, malgrado una verbigerazione
superficiale, non è lo 'stile di vita' americano, che anzi
le nuove generazioni europee, capofila di questo movimento, proprio negli ultimi
anni hanno preso ad imitare sempre di più. Da riti tipicamente americani,
come l''aperitivo mangiato' delle 'happy hours', al
sempre più imperversante ricorso ad anglicismi anche nelle comunicazioni
più riservate, ai film e alle musiche preferite, all'impennata nel ricorso
a separazioni e divorzi, gli europei si ingozzano sempre più di stile
di vita americano, anche nei suoi aspetti più banali, o malsani. Verso
i quali, a volte, l'attuale amministrazione americana sta prendendo forti distanze,
come sul tema dello sviluppo dei divorzi. L'Europa insomma, e le sue giovani
generazioni, rappresentano, come è del resto noto, la più 'americanizzata'
delle culture del mondo. Ma se ne accettano con straordinaria passività,
e preoccupante mancanza di reazioni e produzioni originali, lo stile di vita,
allora cosa odiano gli europei nell'America? Lo si è visto appunto nell'attuale
crisi: gli europei non sopportano il potere dell'America. E' di fronte alle
sue manifestazioni che ogni realismo e razionalità politica vengono liquidati,
e che gli europei cadono, nella loro maggioranza, in una posizione reattiva,
che copre la depressione di fondo, con forme di delirio paranoico.
L'avversione alla potenza americana
L'11 settembre, anche da questo punto di vista, ha segnato un punto di svolta
decisivo. Fino allora gli Stati Uniti erano stati una superpotenza mimetizzata
da grande centro commerciale (come James Hillman aveva definito l'Occidente).
E' dopo quel drammatico attacco, e in quanto grande potenza ferita, che gli
Stati Uniti hanno deciso di reagire e non nascondere più in alcun modo
il loro potere politico e militare dietro la massa farraginosa, ed in parte
contraddittoria, dei propri interessi economici. E' portando la guerra in Afghanistan,
come prima risposta all'attacco terroristico, che gli Usa svestirono la maschera
di primo commerciante del mondo, e indossarono (creando non pochi problemi al
processo di globalizzazione di cui i suoi nemici l'accusano) quella di grande
potenza politica, dotata di una propria visione del mondo. Una visione naturalmente
incardinata su quel principio della collective security, portata da Wilson in
Europa nel 1919, riaffermata da Roosvelt e Truman nel 1945, e ripresentata,
con gli aggiornamenti del caso, nelle iniziative internazionali di George W.
Bush contro il terrorismo. E' appunto da allora che l'attuale fase della storia
americana, 11 settembre compreso, viene reinterpretata dall'antiamericanismo
europeo in chiave 'golpista', come una sequenza di episodi più
o meno direttamente provocati dall'attuale gruppo dirigente Usa per imporre
al resto del mondo il proprio potere imperiale. Cio che gli europei non
perdonano all'America di George W. Bush è, insomma, di essere un potere
che non nasconde la propria forza, anzi la assume come una responsabilità
da esercitare verso il resto del mondo. Come una vocazione. Questa vocazione
a garantire la maggior sicurezza internazionale possibile, gli avversari europei
la chiamano: arroganza. Ed anche, non solo a sinistra, imperialismo.
Occorre dunque chiedersi come mai gli europei, che non hanno preso finora alcuna
iniziativa per ridurre il crescente livello di insicurezza nelle relazioni internazionali,
se la prendano così tanto con l'America quando essa lo fa, esercitando
il proprio potere sia di dissuasione, che d'attacco. La frequenza poi del termine
'imperialismo' nel discorso-delirio sulla politica internazionale
americana ci suggerisce, come il ricorrere delle stesse parole nelle associazioni
dei pazienti, che lì c'è un punto dolente. Forse una ferita che
l'inconscio copre e rivela al contempo, nel suo caratteristico modo, quello
della 'proiezione'. Attribuendo cioè ad altri qualcosa che
ci riguarda profondamente, ma che non abbiamo ancora ben sistemato a livello
conscio.
Cerchiamo di capire di che si tratta.
Gli Imperi perduti dagli europei, e quello rimproverato agli americani
L'Europa ha perduto nello spazio di circa vent'anni, dal 1947 ai primi anni 60, il controllo sulla gran parte del mondo, che manteneva attraverso strumenti che risalivano agli imperi coloniali, smantellati in fretta appunto in quel breve periodo. Julien Freund, sociologo della storia di scuola 'realista', erede di Vilfredo Pareto e di Raymond Aron, riteneva, all'inizio degli anni 80, che 'tutto sommato gli Europei vivono ancora sotto lo choc di quel che gli è capitato così bruscamente; non hanno preso le misure delle conseguenze probabili dell'avvenimento. Se ne accorgeranno senza dubbio quando i popoli allogeni ââ¬Â¦ faranno valere nuovi diritti, probabilmente in forma offensiva'. L'analisi di Freund è particolarmente interessante perchè riconosce cio di cui nessuno vuole parlare, e cioè che perdere praticamente in un colpo solo il controllo di tre quarti del mondo produce, in chi subisce la perdita, uno choc, un trauma. Destinata, come tutte le perdite gravi, a manifestare i suoi effetti in seguito, quando il piano di realtà si incaricherà di mostrare a chi ha subito la ferita gli effetti della stessa, e della sua negazione. Gli effetti sono appunto quelli rivelatisi a tutti con la risposta americana all'aggressione terroristica. L''abbandono del mondo' da parte dell'Europa, che non solo aveva precipitosamente liquidato i suoi imperi ma aveva anche abdicato alle più elementari responsabilità internazionali, aveva precipitato una parte rilevante del mondo in una situazione di disordine aggressivo che si rivolgeva (oltre che, più subdolamente, contro l'Europa stessa) contro la potenza che ne aveva preso il testimone nella leadership mondiale: gli Stati Uniti d'America. Ed ora l'America cominciava a rispondere, arrivando a mettere a rischio la stessa continuazione e sviluppo del processo di globalizzazione, per affermare la propria (ed altrui) sicurezza, e la propria visione del mondo, fondata sulla democrazia e la libertà. L'Europa, che nei due secoli precedenti aveva conquistato il mondo certo per commerciare e guadagnare, ma anche per portarvi la propria visione e i propri principi politici, si trovava ora di fronte all'inquietante figura psicologica che Otto Rank chiamo il 'doppio'. Ecco dunque dinanzi all'Europa un'altra grande potenza, anzi la grande potenza generata dalla sua stessa cultura e che era subentrata al suo potere, che faceva cio che essa stessa aveva fatto nel periodo della sua massima espansione globale: assicurare, anche con la forza, la massima sicurezza possibile al mondo. Se l'Europa ne avesse ancora avuto la forza, psicologica e spirituale prima che militare ed economica, avrebbe potuto associarsi con entusiasmo all'impresa, che non faceva altro che continuare, aggiornandola ai tempi, la sua propria storia, e la sua funzione di 'custode' del mondo che essa stessa aveva scoperto, e di cui aveva collegato le diverse componenti. Ma la forza, ormai, era stata sostituita dalla malattia. Lo slancio passato, aveva lasciato il posto ad un tono depressivo, in cui attecchivano facilmente ogni sorta di fantasie persecutorie, di immaginazioni paranoidi. Nelle quali chi si assume la responsabilità del proprio potere, e il corrispondente coraggio (che ormai ti atterrisce), diventa il tuo Grande Persecutore. Perchè in realtà è il grande rivelatore della tua falsa coscienza, e della tua, reale, viltà.
La decadenza, malattia delle civiltà
Cio che qui chiamiamo (mutuando espressioni delle scienze psicologiche,
ed applicandole alle manifestazioni del conscio e dell'inconscio collettivo):
tono depressivo, posizione paranoide, produzione delirante, il pensiero politico
realista l'ha chiamato, in particolare con Vilfredo Pareto, decadenza. Essa
rappresenta la degenerazione di un tipo storico di civiltà, in cui si
alterano e decadono le sue caratteristiche condizioni politiche, economiche,
culturali e sociali. 'L'Europa - osserva Julien Freund - è entrata
nella decadenza non solamente in rapporto all'impero mondiale che controllava
alla vigilia del suo fulmineo declino, ma soprattutto in rapporto al suo dinamismo
interno, all'audacia delle sue imprese, ed alla vitalità dei suoi abitanti'.
Ed ancora: 'C'è un'affinità tra la politica apprensiva,
seguita nei livelli superiori, ed il diffondersi nella popolazione di una mentalità
che rifiuta di investire nell'avvenire, spinta com'è a rivendicare a
proposito e a sproposito, piuttosto che a controllare le proprie forze per utilizzarle
in modo consapevole'. E qui Freund fa un'osservazione interessante, che
riprenderemo più tardi: 'E' come se l'aggressività soggiacente
avesse solo degli obiettivi negativi.' Quanto poi all'Unione europea come
via di uscita dalla decadenza osserva: 'Unirsi soltanto allo scopo di
unirsi, e non in vista di obiettivi che oltrepassano questa unione, significa
che si fa per lo meno una politica mediocre, che rischia di esaurirsi nella
ricerca senza fine dell'unione. Politicamente ci si unisce per ben altre ragioni:
se mancano la volontà d'espansione e l'audacia, l'unità non si
realizzerà, oppure s'impigrirà nella contemplazione di sè,
salvo il caso in cui dovesse resistere ad un nemico esterno'. Sono osservazioni
che seppero pre/vedere gli sviluppi successivi, e le riportiamo qui perchè
illustrano il terreno in cui prende forma l'antiamericanismo europeo. Occorre
tuttavia sottolineare che la decadenza, come ogni fenomeno trasformativo, non
è di per sè esclusivamente negativa. Come osserva Pareto, non
esclude una possibile rinascita, a un altro stadio, in forme diverse. Non si
puo escludere, ad esempio, che la partnership assicurata dall'Inghilterra
all'attuale politica americana, irrisa dall'antiamericanismo come segno di servaggio,
non appartenga invece ad una prospettiva di rinnovamento, che non a caso la
distacca dalle potenze europee più testardamente legate alla propria
discesa: Francia, Germania e Belgio. Anche l'azione del Presidente del consiglio
italiano in favore dell'allargamento dell'Unione ad est, ed il suo impegno in
Israele, potrebbe (se perseguita con determinazione) trascinare Italia ed Europa
fuori dalla morta gora di tatticismi e prudenze estenuanti. In ogni caso, la
messa a fuoco dell'idea di decadenza è decisiva in questo discorso perchè
descrive perfettamente l'humus psicologico e politico da cui si alimenta e prende
forma l'attuale psicopatologia dell'antiamericanismo. La sua centralità
nel definire la situazione europea era ben chiara alla lucida analisi di Raymond
Aron che nel 1977, raccogliendo le sue riflessioni sull'Europa, rimase a lungo
incerto tra intitolarle Difesa dell'Europa Liberale, oppure: Europa, guardati
dal perdere la libertà. Alla fine, tuttavia, scelse: Difesa dell'Europa
decadente , in cui difende la dignità di un'Europa debole, ma che rispetta
le libertà fondamentali, rispetto a un impero forte come l'Urss, che
invece le calpesta.
La sfida del terzo millennio
Tuttavia all'Europa decadente di quegli anni non si era ancora posta la sfida
che le porrà invece l'America di George W. Bush all'inizio del terzo
millennio. Quella cioè di affiancare gli Stati Uniti nella guida di un
mondo in preda a pulsioni distruttive di grande portata, nella quale fenomeni
diversi come il 'revival etnico', i residui rancori ideologici delle
'grandi narrazioni' mortifere che avevano dominato il secolo scorso,
l'incapacità da parte di molti soggetti politici ex coloniali di gestire
le ricchezze se non in chiave di aggressione distruttiva, o di satrapia dissipatrice,
rischiavano di mettere in moto processi dissolutori delle civiltà e delle
culture, tanto più pericolosi quanto più in possesso delle tecnologie
avanzate che lo sviluppo occidentale aveva diffuso (spesso per lucro) nel mondo
intero. Per raccogliere questa sfida pero, occorreva una coscienza collettiva
europea ancora vitale. Ed invece, come osservava benissimo Freund già
vent'anni prima, 'è spezzato lo slancio interiore, come testimoniano
il rifiuto del rischio, e l'indolenza dinanzi alle iniziative .'
Nello 'slancio spezzato' tuttavia, si manifestano le conseguenze
di un altro fenomeno di prima importanza, psicologica e politica. Vale a dire
la mancata elaborazione del lutto derivante dalla fine di quello che dalla Rinascenza
in poi si era manifestato come il destino dell'Europa: la sua vocazione a scoprire
e, in modi diversi, influenzare i destini del mondo. Quest'assenza di elaborazione
provocava, come ogni lutto non elaborato, un abbassamento del livello di coscienza
collettiva tanto più pericoloso per l'Europa, in quanto le impediva di
fornire una propria interpretazione alla crisi del processo di decolonizzazione
da lei stessa realizzata, ed agli esiti nefasti che il modo in cui era stato
condotto stava assicurando al resto del mondo.
In questa situazione, la politica americana che di questa crisi si fa invece
carico, sia pur oscillando tra categorie fumose come lo 'scontro di civiltà'
di Huntington, e la più realistica 'guerra preventiva' dell'amministrazione
Bush, affronta cio che l'Europa rifiuta disperatamente di vedere: i risultati
devastanti della sua fuga precipitosa da ogni responsabilità nella politica
mondiale.
Gli Stati Uniti come OMBRA dell'imperialismo europeo
Nel fare questo, l'America diventa fatalmente l'Ombra (l'aspetto rifiutato)
dalla coscienza europea. In questo gioco di proiezioni, essa assume allora (agli
occhi dei suoi 'nemici' europei) le sembianze (demonizzate) dello
stesso imperialismo europeo, che l'Europa aveva creduto di potersi togliere
di dosso come un vecchio vestito, senza pensare a cio che questo significava
per i popoli e le culture che venivano in questo modo dismessi, abbandonati
alle proprie pulsioni, e a quelle dei loro più o meno feroci vicini e
avversari. L'Ombra europea proiettata sugli Usa, dà forma anche a tutta
l'aggressività dell'Europa, che il vecchio continente nega nella sua
coscienza collettiva, ricacciandola quindi nell'inconscio, come spesso accade
nelle forme depressive. Mentre l'America esprime quell'aggressività come
sfida, proposta, anche avventura (come l'Europa aveva fatto per lungo tempo).
In questo torbido ribollire di immagini, fantasmi, ed odi antichi e nuovi, che
l'Ombra (carica di tutti i materiali dell'inconscio e del passato) sempre porta
con sè, l'America torna definitivamente ad essere cio che per
gran parte dell'Europa era già stata, a due riprese nel secolo scorso:
il Grande Nemico, il Grande Persecutore.
Il rancore delle grandi narrazioni sconfitte
Un' Ombra così cospicua, come quella che l'America sta finendo con l'apparire
a molti Europei, non avrebbe, infatti, potuto costituirsi se in essa non confluissero
gli odi e i rancori lasciati dalle sconfitte di due guerre mondiali, ma soprattutto
quello delle sconfitte procurate dall'America alle due grandi narrazioni di
violenza e di morte che avevano preannunciato la decadenza europea: quella nazista,
e quella comunista. A loro volta sintesi politiche di quel fenomeno tutto europeo
che fu, ed è, il pensiero nichilista, col suo corollario della morte
di Dio. L'America che dice: In God we trust, l'America che ha spazzato i deliri
neopagani della dècadence nazista, come quelli dell'onnipotenza burocratica
e feroce del socialismo reale, prende su di sè l'odio di tutti quelli
(e sono molti, anche fra coloro che all'epoca non erano ancora nati), che non
hanno perdonato. Perchè la posizione paranoide (come del resto la decadenza)
ha anche un tratto 'familiare' (proprio nel senso psichiatrico):
la si puo, insomma, ereditare.
Se il quadro qui trattato fosse giusto, o anche soltanto somigliante, la via
d'uscita non sarà facile. Solo una cultura politica realmente svincolata
dalle grandi narrazioni sconfitte potrebbe suscitare l'interesse a partecipare
all'avventura vitale del fratello americano, senza bollarla come l'azione delinquenziale
del Grande Persecutore. D'altra parte, solo una visione religiosa svincolata
dal nichilismo del novecento europeo puo legittimare una visione vitale,
che ogni tratto di decadenza bollerà invece come 'vitalistica'
e criminale. La visione di Dio, ed il gusto per la vita, anche in questa vicenda,
come in ogni altra, procedono di concerto: quando l'una è perduta, anche
l'altra viene a mancare. E si ricade allora nella patologia denunciata da Jung,
nella quale gli Dei, fuggiti, si ripresentano sotto forma di malattie. Eventualmente
sub specie di idoli 'neo pagani', cari ai falsi no global di destra
e sinistra, i cui tratti kitch soddisfano il gusto e la morale indeboliti della
decadenza.
<div align=right>di Claudio Risè
tratto da http://www.claudio-rise.it/editoriali/index.htm
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