Quell'idea di libertà
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Wilson detto alla Società delle Nazioni i suoi famosi '14 punti' evidenziando come essa sarebbe dovuta divenire lo strumento per organizzare e concentrare la potenza delle democrazie, al fine di utilizzarla quale deterrente e, se necessario, quale forza punitiva, verso chi non rispettasse o mettesse a repentaglio le norme di interdipendenza democratica e di libero scambio.
Oggi l'Onu, erede di quella Società delle Nazioni, sembra aver dimenticato quel documento e sembra aver smarrito la strada della determinazione. Ma i problemi contemporanei sono gravi e l'unico modo per garantire al mondo la sicurezza per la democrazia è ancora una volta l'universo delle tesi wilsoniane.
Spesso le ragioni profonde delle cose non hanno urgenza di essere scoperte. Risiedono già nella Storia.
Quando Woodrow Wilson pronuncio per la prima volta il suo celebre slogan: 'rendere il mondo sicuro per la democrazia', il continente europeo stava conoscendo la tragedia della Prima Guerra Mondiale e la sua nazione, gli Stati Uniti d'America viveva ancora i tempi della neutralità.
Questa condotta politica, che si rifletteva nella scelta del non-intervenire, perduro fino all'Aprile del 1917.
La scelta dell'allora presidente Usa di entrare in guerra non derivava soltanto, come molti pensano ancora, dai gravi danni alle navi americane causati dai sottomarini tedeschi, nè soltanto dai debiti che l'Intesa stava accumulando in modo preoccupante verso le banche di Wall Street.
Wilson pensava davvero che solo gli Stati Uniti avrebbero potuto portare una pace durevole e avrebbero potuto garantire una giusta conclusione del conflitto.
Gli egemonismi di potenza che si erano creati nel vecchio continente avevano condotto ai fatti del '15-'18. L'insensata corsa agli imperi coloniali aveva frammentato il globo in tante aree separate e antagoniste.>
Il crescente nazionalismo e le varie rivoluzioni (vedi Russia) stavano conducendo per mano il mondo, i suoi equilibri e la sua economia, in una prospettiva in cui non si vedevano vie d'uscita ragionevoli ma solo costi altissimi per la stabilità dei mercati e per la democrazia.
Il progetto wilsoniano faceva dunque leva sulla creazione di un nuovo ordine internazionale, da realizzarsi tramite una graduale espansione del modello democratico occidentale e una prudente decolonizzazione.
Garanti di tutto cio sarebbero stati, ovviamente, gli Usa, che già allora erano l'unica superpotenza democratica e che avevano in sè la forza di far rispettare questi equilibri.
Era questo lo spirito che mosse la stesura dei suoi famosi '14 punti' che egli propose nel Gennaio del 1918, quale documento su cui doveva fondarsi la pace. Quale pace dunque? Quella dell'autodeterminazione dei popoli, della libertà di commercio e di navigazione, quella della diplomazia e della rinuncia all'aggressione.
L'obbiettivo finale era quello di dare il via ad un nuovo sistema di relazioni internazionali, all'interno delle quali, la pace non fosse assicurata tramite un congelamento del rapporto tra gli stati ma, al contrario, dal libero scambio di merci e di pensiero, attraverso la rimozione delle cause della guerra, che stavano spesso nell'assoggettamento di un popolo e nelle disuguaglianze sociali.
'Rendere il mondo sicuro per la democrazia' dunque. Un mondo che a questo punto sarebbe stato pronto per l'equilibrio del capitalismo liberale targato Usa. L'unico modello in grado di garantire benessere e stabilità.
I '14 punti' diventarono il tessuto di norme sul quale si fondava e aveva il compito di vigilare, la neo-nata Società delle Nazioni, quella che poi diventerà, dopo il secondo conflitto mondiale, l'Onu.
La Società delle Nazioni doveva essere lo strumento per organizzare e concentrare la potenza delle democrazie, e in primo luogo dell'America, al fine di utilizzarla quale deterrente e, se necessario, quale forza punitiva, verso chi non rispettasse suddette norme di interdipendenza, e anzi, le mettesse a repentaglio.
Le concezioni di Wilson rimasero la base dell'approccio americano ai problemi internazionali per buona parte del novecento, e come vedremo, quei modelli sono riadoperati in questi anni nel contesto della politica estera dell'amministrazione di George W. Bush.
Quella stesso slogan di 'rendere il mondo sicuro per la democrazia' è oggi più che mai attuale. Oggi che l'Onu, erede di quella Società delle Nazioni di Wilson, sembra aver dimenticato o smarrito l'anima stessa della sua missione, e di quei '14 punti' che ne decretavano la nascita.
Oggi più che mai l'Onu si dimostra sovente incapace di decisioni forti verso coloro, che ancor oggi, remano contro le regole dell'interdipendenza democratica e del libero scambio economico.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE E IL MUTARE DELLA POLITICA INTERVENTISTA NEI DECENNI SEGUENTI_
Wilson aveva contrapposto, le forza luminose della democrazia e del progresso, alle forze oscure della disgregazione e della tirannia.
Negli anni tra il 1937 e '40 l'evocazione di quelle immagini ritornava prepotentemente d'attualità.
L'amministrazione Roosvelt ridefinì l'idea stessa della sicurezza nazionale secondo criteri globalistici che discendevano dall'universo delle tesi wilsoniane.
La minaccia adesso era diversa ma le conseguenze sarebbero state ugualmente catastrofiche per la democrazia in tutto il mondo.
Il pericolo era non tanto più il venir meno dell'interdipendenza economica e politica, quanto l'incubo di veder svanire la prospettiva in cui l'America vedeva il proprio futuro: se le forze dell'asse avessero avuto la meglio, non sarebbe più esistito un mondo di sovranità democratiche e mercati aperti, bensì sfere strategiche ostili, stataliste, accentratrici, e inevitabilmente lanciate verso un continuo riarmo.
La stessa America, per sopravvivere, avrebbe dovuto trasformare la sua anima ad immagine e somiglianza di queste dittature. Tutto cio era assolutamente inaccettabile. Per questo la sicurezza nazionale venne definita da Roosvelt non come la capacità di difendere il proprio territorio e i propri interessi, bensì la capacità di vincere la guerra mondiale ed eliminare così i propri avversari per ridisegnare finalmente l'intero ordine globale all'insegna dell'interdipendenza tra stati, del libero mercato, e della sovranità democratica come principio assoluto e imprescindibile.
Harry Truman scoprì, con amarezza, che gli sforzi degli Stati Uniti nel primo dopoguerra per la sicurezza democratica non erano seguiti da risultati immediati. Da un parte la Russia sovietica minacciava di espandersi ad Est del vecchio continente, dall'altra i paesi usciti dal conflitto stentavano a riprendersi economicamente.
Questo fu il contesto in cui vide la luce il Piano Marshall, con cui a partire dal '48 gli Usa si impegnarono a fornire ingenti aiuti economici a tutti i paesi dell'Europa occidentale. In questo modo, si pensava, il motore dei mercati e del libero commercio sarebbe ripartito.
Mossa economica e allo stesso tempo mossa politica: il Piano Marshall si inquadrava in un ottica di precisa spaccatura tra chi stava con l'Occidente e chi con il regime comunista di Stalin.
'Due sistemi di vita alternativi', spiego Truman, aggiungendo che gli Stati Uniti non si sarebbero mai stancati di difendere e di essere dalla parte esclusivamente dei 'popoli liberi'.
Gli anni che seguirono furono incentrati nel contenimento dell'avanzata delle varie sfere d'influenza che l'Urss stava creando in più parti della Terra. La minaccia era globale, l'avanzata del comunismo andava quindi fermata in Corea, prima che si riproponesse altrove.
L'armistizio del 1953, alla fine, lascio divise le due Coree. La guerra era stata devastante e logorante. La Cina si affacciava già allora come l'ennesimo pericolo. Il comunismo venne definito 'endemico'. Non si poteva far altro che riarmarsi e costituire un perimetro difensivo costituito da stati amici.
Nell'arco di pochi anni sorse così un vasto impero diplomatico di alleanze.
I valori americani di libertà e autodeterminazione democratica restavno al centro della battaglia ideologica, ed erano fortemente consolidati in Europa grazie alla leadership statunitense, ma in altre aree esse cedevano il passo a vari e brutali regimi locali.
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Nè gli avversari nè gli alleati dovevano mai avere il benchè minimo dubbio sulla portata dell'impegno americano a vigilare sui confini del contenimento al comunismo. Pena il possibile disgregamento dello schieramento stesso del contenimento.
Fu in questo contesto che John F. Kennedy ritenne necessario intervenire militarmente nel Vietnam e bloccare la tanto paventata 'dinamica del domino': alla caduta di un governo amico anti-comunista, sarebbe seguita la caduta di un altro e così via.
LE SCELTE DI CARTER, IL RILANCIO DI REAGAN E IL RITORNO ALLE TESI WILSONIANE NELL'AMMINISTRAZIONE BUSH_
Le pesanti perdite subite in Vietnam suggerirono alle amministrazioni che seguirono di cambiare rotta riguardo la politica estera.
L'idea degli States come 'gendarme del mondo' non piaceva al nuovo presidente.
Il paese adesso doveva operare positivamente per la democrazia e i diritti umani, senza più 'paura scomposta del comunismo'.
Quel presidente era Jimmi Carter.
La seconda metà degli anni '70 fu quindi contrassegnata da un interventismo politico-diplomatico più che militare. Spesso si tendeva ad appoggiare le fazioni avverse ai comunisti, con rifornimenti e armamenti, (vedi nel '79 Afghanistan, Iran, Angola) evitando pero di usare direttamente le proprie forze armate.
Una parte dell'opinione pubblica americana vide tuttavia questa ritrosia all'intervento come una pericolosa debolezza. I sovietici non si ritiravano da nessuna area del mondo e gli strascichi lasciati dalla sconfitta in Vietnam si facevano sentire nell'orgoglio di ogni cittadino.
Ci volle Ronald Reagan per restituire agli americani l'orgoglio perduto e la fiducia nella forza della loro grande nazione. Il programma era preciso: rilancio della potenza delle forze armate e massiccio programma di riarmo.
In realtà a tante minacce di intenti non seguì alcuna azione diretta. Si continuo a preferire aiutare le forze anti-sovietiche (come Solidarnosc), che intervenire in prima persona.
Nonostante cio l'America degli anni '80 era tornata a confidare nella propria forza e a ritenere che essa andasse fatta pesare nella battaglia diplomatica e ideologica contro il blocco sovietico. Fu a quel punto che Michail Gorbachev prese a smantellare i pilastri che avevano retto l'antagonismo con il blocco capitalista, guidando il paese verso il suo pieno ingresso nella comunità internazionale e nella democrazia.
Il mondo che emergeva dopo la fine della guerra fredda vedeva gli Stati Uniti, per la prima volta nel novecento, privi di un vero e proprio antagonista ideale e militare.
La loro supremazia era indiscussa ora più che mai, ed era evidenziata da un progresso tecnologico che non aveva pari nel mondo e che permise loro di combattere una guerra, come quella del Golfo, con pochissime perdite, e quindi con scarsissimi costi politici.
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La vittoria di George Bush e la tragedia dell'11 Settembre hanno convinto la nuova amministrazione conservatrice della Casa Bianca ad usare unilateralmente la sua determinazione al fine di sradicare, in ogni parte del mondo, tutte le organizzazioni terroristiche e gli stati che le fiancheggiano e che mettono ancora una volta a repentaglio l'equilibrio democratico.
La pace e la stabilità, necessarie per lo sviluppo delle democrazie e delle libertà di tipo occidentale, sono ancora una volta minacciate, ma gli Stati Uniti moderni hanno imparato la lezione della storia e sanno bene quando è loro dovere usare la loro schiacciante superiorità militare e la loro vasta influenza politica per spengere ogni focolaio di fondamentalismo e arginare o sradicare coloro che minacciano le libertà.
E' passato quasi un secolo ma l'universo da difendere è tornato quello wilsoniano: 'rendere il mondo sicuro per la democrazia' ora più che mai il motto del vecchio presidente è attuale e seguirlo sembra un imperativo da cui non ci si puo più sottrarre.
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